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Written by: Inchieste

Una città ricostruita in fretta e senza piani

L’Aquila è un sistema insediativo complesso che si articola lungo 12 km. L’espansione urbana recente comprende periferie consolidate e ancora in formazione costruite intorno a un importante Peep degli anni settanta, ampie zone dismesse dei demani pubblici ma anche industrie e due parchi naturali che arrivano sino ai margini dell’edificato. Questo sistema insediativo complesso ha inglobato molti centri preesistenti e si è organizzato negli anni intorno a un’armatura urbana incompleta e debole.
Nella logica dell’emergenza sono state introdotte due innovazioni sostanziali nel processo di ricostruzione. Da un lato, si è deciso di non utilizzare ricoveri temporanei per gli oltre 70.000 sfollati realizzando alloggi permanenti nell’ubicazione ma non definitivi per l’utenza, che con il ritorno degli sfollati nelle loro abitazioni dovrebbe essere costituita dai destinatari del social housing. Dall’altro, si è costituito un sistema di governo dell’emergenza fortemente accentrato nella funzione del commissario Guido Bertolaso.
In quattro mesi sono state costruite 5.000 case e 30 plessi scolastici distribuiti su 150 ettari di aree prevalentemente agricole corrispondenti alla dimensione della città murata. Quasi tutte le localizzazioni sono distanti dal centro urbano e prive ovviamente di servizi. Con analoga procedura sono stati localizzati i 30 Moduli a uso scolastico provvisorio (Musp). Costruendo questa nuova «città» è stato sostanzialmente ritardato il processo di ricostruzione della città storica, ma anche quello delle periferie consolidate. Non è peraltro avanzata di molto la proposta di costituire una struttura di coordinamento (Unità di missione) per avviare una governance plurilivello formulata al convengo Inu del 26 settembre dal presidente della Giunta regionale.
In questo modo la Protezione civile, che dovrebbe operare per la risoluzione dell’emergenza, ha in realtà operato, e opera, sull’assetto definitivo della futura città senza avere un’idea di città e senza un piano. Ancor più problematico è il quadro riguardante strumenti e tempi della ricostruzione di quello che la legge 77 del 24 giugno 2009 definisce impropriamente «centro storico». A oggi è ancora attiva la cosiddetta zona rossa e i 160 ettari della città murata sono chiusi. Un’attività di puntellamento episodica «protegge» alcuni palazzi di pregio, mentre si vanno organizzando spontaneamente consorzi d’imprese e di proprietari che si rivolgono alla Protezione civile (o meglio ai due consorzi universitari chiamati in causa della Fintecna e autorizzati dal sindaco), che vede così legittimata la sua permanenza anche oltre la fase dell’emergenza.
Il Piano di ricostruzione previsto dalla legge 77 è una novità urbanistica. Nessuno sa cosa sia, né disciplinarmente nella forma e nei contenuti, né giuridicamente nel quadro legislativo nazionale. Nel «centro storico» si opererà quindi con Piani di ricostruzione che non saranno, si spera, l’unica forma d’intervento preventivo, essendo praticabili anche Piani di recupero d’iniziativa pubblica e privata (Legge 457 e Programmi integrati d’intervento, l.r. 70/95, art. 31bis), e interventi diretti che comprendono unità minime da estendere a quanto necessario per la verifica delle interazioni con gli edifici adiacenti e, in caso di necessità, l’istituto del Comparto (l.r. 18/83, art. 26).
È opportuna la compresenza di una pluralità di strumenti e soggetti limitando il ricorso a strumenti preventivi a scatola cinese, senza con ciò rinunciare a una politica di piano. Occorre ripensare la città come capitale regionale strategica di una piattaforma territoriale che collega Adriatico e Tirreno.
I professionisti, che pure dovrebbero essere i protagonisti di questo dibattito, subiscono le angherie degli oscuri istruttori della Reluis (Rete dei laboratori universitari di ingegneria sismica) e del Cineas (Consorzio universitario che ha come obiettivi la diffusione e il consolidamento della cultura del rischio) che ne esaminano i progetti non si sa a che titolo, e non rivendicano il diritto all’autocertificazione degli atti tecnici. I cittadini non trovano un’agorà per il confronto e tendono a rivolgersi direttamente ai risolutori (i diversi canali della Protezione civile, i consorzi dei costruttori). Per questi motivi l’Inu ha proposto ufficialmente alle tre istituzioni elettive la costituzione di un Urban center, provvisoriamente ubicato nella piazza maggiore e successivamente nel convento di San Domenico, riscontrando un notevole consenso. Una città non si ricostruisce con un decreto «spezzatino» ma facendo funzionare le istituzioni locali e con la partecipazione attiva dei cittadini.

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Last modified: 17 Luglio 2015