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Carlo OlmoWritten by: Forum

Padania, oh cara

Torino-Venezia e ritorno in treno ai tempi della Frecciarossa.
Ci sono quattro gradi sotto zero quando esco di casa. L’auto è coperta di brina. Scendo piano verso la città. L’indicatore del ghiaccio lampeggia. Devo lasciare l’auto nel cortile della facoltà di Architettura al Castello del Valentino e procedere a piedi. La prima sorpresa è scoprire, come anche a quell’ora di mattina, un quartiere come San Salvario, simbolo nell’immaginario – non solo cittadino – di degrado e insicurezza, sia vivissimo.
La Frecciarossa parte puntuale da Porta Nuova. Vicino, come sempre accade in treni dove l’open space è norma, persone si accaniscono a telefonare a parenti, amici, collaboratori, domestiche, amanti un po’ irritati. Il primo sconcerto è passare lentamente, come per fotogrammi ma senza fermarsi, nella stazione sotterranea di Porta Susa, appena inaugurata proprio per ospitare l’Alta velocità ma poi subito soppressa, e veder scorrere pochi
e infelici pendolari lungo la banchina. Il treno prende velocità in una campagna bianca e gelata,
lungo l’autostrada, facendo sembrare ferme le auto. Ma l’orgoglio del viaggiatore seduto e rilassato si stempera mano a mano che quella vicinanza disegna un muro che divide drasticamente due universi. Quella visione però presto scompare, quasi viene rimossa. Frangirumore di ogni materiale e colore allontanano quella visione e fanno sentire il viaggiatore quasi in colpa, perché non ricorda tutti i colori dell’arcobaleno che li compongono. All’improvviso la tavolozza sparisce e compare un ponte azzurro in un paesaggio dégasiano. Chissà a quale artista lo avranno affidato. I discorsi intorno toccano quasi ogni argomento: liti giudiziarie, transazione economiche, intimità quasi ostentate, gossip chiaramente fasulli.
Il treno arriva a Novara. L’attraversamento è inquietante, quasi un bunker, mentre gli snodi, mano a mano che ci si avvicina al Ticino fanno pensare ad antiche e lussuose civiltà sepolte da raggiungere.
A Milano Porta Garibaldi, nella carrozza rimangono quattro coppie cariche di valigie. L’arrivo a Bologna, due ore dopo la partenza, è in orario. Scendiamo in una stazione animatissima, dove ormai non esistono più aiuti per chi ha bagaglio. Per fortuna la Samsonite inventò le rotelle e i bagagli rotolano rumorosamente sui marciapiedi. Il treno in coincidenza per Venezia è tre binari più in là. Scendo e mi ritrovo in un sottopasso zeppo di persone, raggruppate attorno alle scale che portano ai binari. Un mondo insieme rassegnato e silenzioso che popola, come nei Miserabili, il ventre della stazione, cercando un po’ d’improbabile calore. Salgo fiducioso al binario, seguito dalle quattro coppie e dalle loro valigie. Ma l’attesa, che doveva essere di minuti, è vana. Il ritardo cresce e l’aria è gelida, Le quattro coppie mi guardano come il cane capo di una muta. Finalmente arriva l’annuncio che il treno in ritardo – questa volta Frecciaargento – sta arrivando, ma su un altro binario. Mi  muovo, ma mi accorgo che la coppia più anziana sta faticando. Prendo le loro valigie, scendo e fendo una folla quasi invidiosa di vederci rincorrere, un po’ affannati, un treno che parte. Il treno si ferma con rigore a Rovigo, Padova, Venezia Mestre e arriva a Santa Lucia in un tempo che ci fa rimpiangere il vecchio e ormai inglorioso Eurostarcity che collegava direttamente Torino e Venezia. Siamo arrivati alla Serenissima, passando per gli ex Stati pontifici e spendendo il doppio. Uscendo dalla stazione, la bora rende tutti i colori iridescenti; solo la cravatta verde del militante leghista, che con grande coraggio sfida quel freddo e tenta approcci che la temperatura rende improbabili, appare opalescente e portata lontana dalla bora.
Il ritorno è un’Odissea, ci vorrebbe Omero a raccontarla. Soprattutto l’assedio di… greci, eredi non tanto felici, dell’ira funesta di Achille, che assediando un capotreno, certo lontano parente degli eroi troiani, inventano la fermata a richiesta a Porta Susa, che forse l’orgoglio della Frecciarossa non contemplava.

Autore

  • Carlo Olmo

    Nato a Canale (Cuneo) nel 1944, è storico dell'architettura e della città contemporanee. E' stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007, dove ha svolto attività didattica dal 1972. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in altre università straniere. Autore di numerosi saggi e testi, ha curato la pubblicazione del "Dizionario dell'architettura del XX secolo" (Allemandi/Treccani, 1993-2003) e nel 2002 ha fondato «Il Giornale dell'Architettura», che ha diretto fino al 2014. Tra i suoi principali testi: "Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau»" (Einaudi, 1975; con R. Gabetti), "La città industriale: protagonisti e scenari" (Einaudi, 1980), "Alle radici dell'architettura contemporanea" (Einaudi, 1989; con R. Gabetti), "Le esposizioni universali" (Allemandi, 1990; con L. Aimone), "La città e le sue storie" (Einaudi, 1995; con B. Lepetit), "Architettura e Novecento" (Donzelli, 2010), "Architettura e storia" (Donzelli, 2013), "La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro" (Donzelli, 2016; con S. Caccia), "Città e democrazia" (Donzelli, 2018), "Progetto e racconto" (Donzelli, 2020)

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Last modified: 17 Luglio 2015