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Written by: Progetti

Un luogo di spiritualità ritrovato, nel cuore dell’Irpinia ferito dal terremoto del 1980

L’abbazia del Goleto si trova in Alta Irpinia, alle sorgenti dell’Ofanto, in un territorio da sempre attraversato da transumanze, pellegrinaggi, scambi commerciali tra il Tirreno e l’Adriatico, tra l’antica Picentia, avamposto degli Etruschi, e il santuario longobardo dell’Arcangelo Michele nel golfo di Manfredonia. La zona del Goleto però è anche una «terra inquieta»: dal 1694 al 1980 sono stati più di sette i terremoti distruttivi che hanno lacerato la regione. Uno dei più devastanti fu proprio l’ultimo, quello del 23 novembre, al quale seguì la ricostruzione. Ricostruzione che in alcuni casi si trasformò in un nuovo atto di devastazione. In quegli anni sembrò che amministratori, politici, architetti provassero vergogna nei confronti delle macerie crollate in strada e perciò, invece di ridare loro dignità, si preferì far piazza pulita, cancellare: ricostruire. Fortuna volle che gli abitanti, inseguendo il miraggio della villetta autonoma, abbandonarono i centri storici, preservandoli intatti fino a oggi.
L’abbazia del Goleto rientra a pieno titolo in questo gruppo di luoghi ritrovati, da restituire alla loro antica dignità. La sua storia è ricca. Potremmo farla risalire al 1132, quando il giovane eremita Guglielmo da Vercelli (poi santo patrono dell’Irpinia), per ultimare la visita dei luoghi sacri del tempo, dopo i pellegrinaggi a Santiago di Compostela e a Roma, diretto in Terra Santa, fu costretto a passare dall’Irpinia, dove si fermò. Dal Goleto non riuscì più a ripartire. Qui, nella sua «terra santa» fondò, sui resti di un monumento funerario di un nobile romano, un importante monastero, tra i primi a essere concepito come doppio, sia femminile che maschile. Il convento femminile – che accoglieva ragazze provenienti dalle famiglie più illustri del Regno di Napoli – fu più prestigioso di quello maschile. Sotto la guida di celebri badesse come Febronia, Agnese e Scolastica la comunità si arricchì di terreni e opere d’arte. Il culmine dello splendore artistico del Goleto si ebbe con la costruzione della cappella di San Luca – dove fu collocato l’avambraccio dell’evangelista – gioiello architettonico medievale al quale lavorarono le maestranze di Federico II di Svevia. Nel corso dei secoli molti furono i terremoti e le distruzioni, e molte le ricostruzioni. Abbandonata nel 1807, trafugati portali e pietre, crollati i tetti e le mura, l’abbazia del Goleto fu riscoperta nel 1973 da padre Lucio De Marino che per primo si batté per il recupero materiale e spirituale del Goleto. Dopo il terremoto del 1980 intervenne la facoltà di Architettura di Firenze che consolidò la cappella di San Luca. I lavori continuarono con incarico affidato a Carmine Gambardella, il quale ricostruì l’ex convento maschile, lo scalone di accesso alla chiesa settecentesca di Domenico Antonio Vaccaro e buona parte dei casali. Dal 1990 i Piccoli Fratelli della Comunità Jesus Caritas abitano nuovamente il monastero dopo secoli di silenzio.
Il Progetto integrato abbazia del Goleto è partito nel 2004, co-finanziato dal Por Campania 2000-2006. L’Accordo di programma tra Soprintendenza, Comune e Arcidiocesi, con la progettazione e la direzione lavori di Angelo Verderosa, ha mirato a realizzare il completamento-ricostruzione del primo livello del monastero (abitato dai monaci) e a rendere funzionale l’abbazia, recuperando inoltre l’invaso spaziale di accesso e realizzando un punto ristoro. Il monastero oggi ospita 20 posti letto e potrebbe diventare il nucleo di un sistema turistico – anche religioso – dell’Alta Irpinia.
Verderosa – che porta avanti da tempo un lavoro paziente in un territorio difficile, per valorizzare il contesto in cui vive – ci racconta che ha lavorato senza un progetto definito in partenza: «Molte cose sono nate in cantiere dialogando quotidianamente con le maestranze. Gli unici criteri adottati sono stati la sobrietà delle forme, l’utilizzo di materiali locali e la volontà di sfruttare al massimo le potenzialità strutturali, economizzando sui trasporti». I materiali edili sono quelli della tradizione: pietra irpina lavorata da artigiani di Fontanarosa e Bisaccia e legno di castagno dei boschi di Montella. Le macerie lasciate dai precedenti terremoti sono state tritovagliate e trasformate in una bella malta poi utilizzata, e messa in evidenza, nelle murature e nei pavimenti in cocciopesto. «In cantiere non è arrivato mai un camion di sabbia dall’esterno», ci racconta il progettista mostrandoci la malta nella quale si scorgono frammenti millenari di antiche pietre e coppi salvati dalla discarica. Con un positivo risvolto anche sul fronte dei costi: 800 euro/mq per tutti gli interventi.
Sul posto si ha la sensazione che il restauro dell’abbazia del Goleto abbia dato vita a un cantiere complesso e intenso, quasi mistico. Nel Goleto non è stato semplicemente attivato un gesto costruttivo, un fatto edilizio: è stato innescato un processo rigenerativo di un luogo, di una collettività, di un paesaggio.
Sono tante le immagini che Verderosa ci descrive. Una delle più belle è quella relativa alla costruzione di ogni copertura (strutture reversibili e smontabili, come le pavimentazioni flottanti degli spazi adibiti a funzioni espositive e museali): a fine lavoro, concluso ciascun tetto, sono stati organizzati in cantiere altrettanti banchetti dove operai, frati, tecnici, compaesani hanno fatto festa, così come avveniva un tempo, non solo in Irpinia.

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Last modified: 17 Luglio 2015