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Written by: Inchieste

L’Aquila, centro storico: quale ricostruzione?

In conseguenza del terremoto abruzzese i danni al patrimonio di rilevante interesse architettonico sono stati certamente gravi, ma gravi sono state anche le distruzioni e i danni all’edilizia storica diffusa e alle architetture d’interesse minore, a quel patrimonio di costruzioni in armonia con l’ambiente naturale che caratterizza fortemente L’Aquila e l’Abruzzo aquilano in genere.
Esaminando per ora in maniera piuttosto approssimativa quanto, di questa edilizia, si è perduto o è stato gravemente danneggiato, si può tentare d’individuare una casistica: sono stati fortemente colpiti edifici costruiti su terreni sciolti e risparmiati quelli fondati su rocce; perciò sono stati colpiti pure i fabbricati insistenti su terreni in frana o di riporto; sono stati colpiti gli edifici in condizioni di abbandono o di scarsa manutenzione, indeboliti per infiltrazioni d’acqua, povertà delle malte, scarsa coerenza delle murature; e colpiti edifici con strutture di copertura spingenti o con carenze di piattabande; edifici sopraelevati o con coperture in cemento armato senza consolidamento preventivo; edifici indeboliti a causa della costruzione delle fondazioni di nuovi fabbricati adiacenti; edifici contigui privi del giunto tecnico o con lo stesso giunto occluso.
Nonostante l’urgenza della ricostruzione, occorre sostenere con forza che, per il centro storico dell’Aquila e per i piccoli centri del circondario gravemente distrutti, siano previsti: il restauro urbanistico e ambientale con la conservazione dei tracciati viari e del perimetro degli isolati; il rispetto degli allineamenti delle cortine; l’eventuale diradamento verticale, ricostruendo edifici anche più bassi dei preesistenti per adeguarsi all’altezza media dei fabbricati del tessuto storico, l’individuazione, caso per caso, degli edifici da ricostruire totalmente e di quelli da restaurare.
È noto che, nei casi di perdita immediata e violenta di un’architettura o di un ambiente, l’istanza psicologica solleciti la ricostruzione «com’era e dov’era»: sia dopo l’improvviso crollo del campanile di San Marco a Venezia (1902), che dopo la distruzione dell’antica Varsavia (1944) o del ponte di Santa Trinita a Firenze (1944) si decise il rifacimento di quanto era andato perduto. Anche per L’Aquila e gli altri centri è stata proposta – ed è lodevole che tale intenzione sia stata manifestata prima di tutto dalle popolazioni colpite – una ricostruzione di questo genere. Si spera escludendo gli episodi di brutta edilizia dell’ultimo mezzo secolo. Ma non sarà possibile rifare tutti gli edifici che definivano ambienti storici suggestivi, se non monumentali, né ritrovare i valori chiaroscurali determinati da particolari lavorazioni della pietra o dalla patina del tempo. Dunque sarà da affrontare il delicato compito di costruire edifici nuovi negli ambienti antichi: e saranno da evitare tanto il falso dell’imitazione che la «libertà stereometrica» invocata talvolta nel secolo scorso. L’intervento degli architetti contemporanei nei centri storici è possibile, purché sia fondato sul giusto atteggiamento: gli edifici nuovi dovranno distinguersi da quelli antichi restaurati e le loro forme dovranno essere espressione del felice incontro della fantasia con la sensibilità; tenendo conto, alla luce dell’esperienza storica e critica, che le difficoltà legate ai siti e alle preesistenze sono punto di partenza per la progettazione di un’architettura degna di questo nome.

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Last modified: 17 Luglio 2015