Nessuna particolare ricorrenza giustifica i fiumi dinchiostro recentemente versati su Le Corbusier, al centro, nel corso degli ultimi tre anni, di unesplosione mediatica paragonabile solo a quella che ha interessato, più o meno nello stesso periodo, un altro grande protagonista dellarchitettura del Novecento, Frank Lloyd Wright (cfr. «Il Giornale dellArchitettura», n. 73).
Nella messe di monografie, tesi di dottorato, saggi, ristampe anastatiche e riedizioni critiche, mostre, dibattiti, lezioni ed eventi spettacolari dedicati a questindiscusso maestro dellarchitettura contemporanea si distinguono senzaltro il gigantesco (e impossibile da maneggiare e forse, anche per questo, virtualmente accessibile in parte su www.phaidon. com/lecorbusier) Le Corbusier Le Grand, (331 x 437 mm, 624 pagine, 2.000 illustrazioni per 9 kg); una voluminosa e per certi versi pionieristica biografia dal titolo immodesto Le Corbusier. A Life (Nicholas Fox Weber); una storia illustrata en bande dessinée dedicata al primo 38% della sua vita, firmata da Sambal Oelek, tipico condimento indiano piccante e non de plume del fumettista svizzero Andreas Müller; quattro documentatissimi saggi iperspecialistici (Catherine de Smet, Tim Benton, Jean Louis Cohen e Caroline Maniaque); tre riedizioni dindiscusse pietre miliari della storiografia sullargomento (ancora Benton, Max Risselada e Stanislaus Von Moos); la ristampa dellautobiografia professionale, La mia opera uscita nel 1961 in tre lingue e, per finire, un improbabile saggio recentemente licenziato da Mit Press sui presunti rapporti dellarchitetto con la massoneria, la magia e locculto.
Di fronte a tale dispiegamento denergie, la domanda sorge spontanea: che bisogno cera? Una possibile spiegazione sta in un mercato editoriale che si adegua alla cannibalizzazione dei documenti tipica di erudite e sofisticatissime indagini darchivio, ansiose di ripercorrere la multisfaccettata vicenda professionale e personale di questo poliedrico personaggio, al contempo architetto, urbanista, teorico, pittore, scultore e prolifico scrittore. Ma cè dellaltro: il mercato dei prodotti culturali è paragonabile a un sistema nervoso affamato di novità, continuamente bisognoso di stimoli. Larchitettura è una delle tante branche di questo mercato, capace dinnescare interessi dilaganti, tendenze e mode culturali destinate (forse) a contrastare lattuale crisi che non ha risparmiato neanche tale ambito.
Daltro canto, come mostra il recente The Rethoric of Modernism di Tim Benton, lo stesso Charles Edouard Jeanneret era ben cosciente dellimportanza che i mezzi di comunicazione di massa avrebbero rivestito nel costruire e consolidare la sua reputazione di architetto moderno. È a partire dal 1917, col suo trasferimento a Parigi, che larchitetto svizzero-francese inizierà sistematicamente a costruire la propria immagine pubblica di leader della nuova architettura, giocando un ruolo di primaria importanza nellattirare lattenzione dei media e nel galvanizzare lopinione pubblica.
Le centinaia di lezioni che terrà, saranno per larchitetto di La Chaux-de-Fonds un formidabile strumento di propaganda. Quelle tenute allestero erano irrinunciabili opportunità di rappresentarsi come uno dei leader internazionali del Movimento moderno: era allestero, piuttosto che nella capitale francese, che larchitetto riceveva laccoglienza più calorosa. Dal 1927 in poi, con linsuccesso al concorso per il Palazzo della Lega delle Nazioni a Ginevra, le sue lezioni diventeranno, sempre di più, il pretesto per unaccanita campagna personale contro laccademismo.
Accanto alle lezioni, un posto importante nella costruzione dellimmagine pubblica di Le Corbusier spetta senzaltro ai libri. La coesistenza simbiotica tra architettura costruita e testo letterario, condizione naturale della storia dellarchitettura sin dal Rinascimento (oggetto, tra laltro, di un recente simposio organizzato dallInha a Parigi, dal titolo Le livre et larchitecte), è sempre più spesso al centro degli interessi della comunità scientifica. A partire dal testo chiave di Beatriz Colomina, Privacy and Publicity. Modern architecture as Mass M e d i a, pubblicato nel 1994, tale filone di studi, interessato a definire il rapporto tra larchitettura e le sue rappresentazioni, ha prodotto lavori degni di nota come quello recente di Catherine de Smet su Le Corbusier pubblicista, editore e homme de lettres, comegli stesso amava definirsi negli anni trenta. Oltre a testimoniare unoriginale padronanza nelluso delle tecniche grafiche, tipografiche e dimpaginazione, i trentacinque titoli pubblicati tra 1912 e il 1965, oltre alle riviste («LEsprit Nouveau», «Plan» e «Prélude»), ai numerosi articoli, ai volumi dellOeuvre complète, ai cataloghi e agli album, svelano le complesse strategie messe in campo dallarchitetto di origine elvetica al fine di presentare al pubblico il suo lavoro e di dimostrarne lintrinseca complessiva coerenza.
Ma il lavoro editoriale di Le Corbusier conta anche alcuni progetti incompiuti oggetto di recente interesse critico: è il caso di France ou Allemagne? Enquête sur un côté de lactivité artistique de deux peuples pendant une période historique (1870-1914), esposto per la prima volta in una lettera al collega Auguste Perret datata 14 giugno 1916 e al centro di un piccolo libro firmato da Jean-Louis Cohen. Tale progetto editoriale, coincidente con gli anni della Grande guerra, evidenzia la molteplicità delle allusioni alle culture visive dei due paesi, mostrando una conoscenza approfondita e precisa della cultura tedesca, cui larchitetto è legato da un rapporto di attrazione e repulsione al contempo. Tutto il testo, giocato sullopposizione e il confronto, page contre page, tra Francia, nuova patria dadozione, e Germania, luogo eletto di unoriginale formazione di autodidatta, mette in luce il complesso sistema di scelte estetiche, di riflessioni editoriali e di posizioni intellettuali, evidenziando la tensione tra due modelli culturali che rimarrà costante lungo tutta la vicenda intellettuale del maestro.
Accanto a questi veri e propri scavi filologici, non va dimenticato il già citato Le Corbusier. A Life, firmato dallo storico culturale statunitense Nicholas Fox Weber, già cimentatosi in passato nella biografia del pittore Balthus. Lincipit è insolito, il racconto di Weber procede a ritroso: la morte, avvenuta nellestate 1965, per annegamento al largo di Roquebrune-Cap-Martin, la cerimonia dei funerali nazionali orchestrata da André Malraux alla Cour Carrée del Louvre, la scomparsa delle persone a lui più vicine, dalla moglie Yvonne Gallis, nel 1957, al padre Georges Edouard Jeanneret, nel 1926, alla madre, Marie Charlotte-Amélie Perret, nel 1960. Le oltre ottocento pagine, rivelatrici, tra laltro, dilluminanti aspetti del tormentato rapporto di Le Corbusier con le donne, nonché dei suoi numerosi love affairsextraconiugali, tra cui il più noto è quello con la celebre ballerina afroamericana Josephine Baker, lascia emergere, accanto ai compagni di strada più conosciuti (da Perret a Amedée Ozenfant a Charlotte Perriand), alcune figure inattese ma evidentemente cruciali nella sua parabola umana, come quella di William Ritter, professore e critico musicale di Neuchâtel, suo principale mentore e assiduo corrispondente.
La vastissima produzione letteraria sul maestro conta infine un numero di contributi che proseguono, arricchendoli, filoni di studi già ampiamente battuti. Tra questi è certamente meritevole dattenzione il paziente e utilissimo lavoro che lo storico svizzero Stanislaus von Moos ha dedicato allaggiornamento e alla revisione critica del suo Le Corbusier. Elements of a Synthesis, pubblicato in prima edizione tedesca nel 1968, riedito nel 1979 in inglese e ora ripubblicato con laggiunta di sette postfazioni agli altrettanti capitoli tematici delledizione originale. Un lavoro che, oltre a testimoniare lagnosticismo filosofico e teorico dellautore, dimostra il carattere cumulativo, ma anche continuamente falsificabile, di ogni forma di sapere, segnalando allattenzione di giovani studiosi nuovi possibili itinerari di ricerca nel proteiforme universo lecorbusieriano.
Lanalisi «genetica» dellopera architettonica inaugurata da Benton, con il suo libro sulle ville progettate negli anni venti, uscito in francese nel 1984, riedito, riveduto e ampliato nel 2007, e proseguita, nel 2004, da Ivan Zacnik con la monografia del Pavilion Suisse alla Cité Universitaire di Parigi, caratterizza infine il recente testo sulle Maisons Jaoul, ascrivibile al genere della biografia di un edificio. Comera già stato per il pionieristico volume di Tim Benton, il lavoro della storica Caroline Maniaque distoglie lattenzione dal risultato finale (ledificio costruito) per concentrarsi sul processo dideazione e costruzione che lo precede, oggetto duna dettagliata analisi archeologica. Se da un lato si potrebbe obbiettare che tale analisi costituisce per lo storico una pratica gratificante in se stessa, indipendentemente dallimportanza delle scoperte che è in grado di dischiudere, dallaltro va riconosciuto che proprio tale profondità dindagine consente a Maniaque di spingersi ben oltre le consumate analisi dellopera, intrecciando la lettura dei disegni e delle fotografie alle relazioni tra larchitetto, il cliente, i collaboratori e gli artigiani, ponendo così le basi per una riscrittura radicale dellinterpretazione.
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