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La Cina scivola sulla sua prima ecotown


Tre anni fa ho attraversato il mondo per vedere il sito della prima ecocittà del mondo. Shanghai, una delle megalopoli a più rapida crescita del pianeta, stava destinando un’isola gigantesca sul Fiume Azzurro alla creazione di un’ecocittà per mezzo milione di abitanti. Ecoingegneri, architetti e urbanisti «verdi» britannici stavano progettando la città di Dongtan, alimentata da energia rinnovabile, libera dalle auto e in grado di riciclare l’acqua, come modello per il mondo. E i suoi primi 25.000 cittadini avrebbero condotto lì una vita sana in tempo per l’Expo di Shanghai 2010, quando doveva essere l’oggetto in mostra di gran lunga più grande, raggiungibile tramite un tunnel e un ponte nuovi.
Ebbene, manca ormai un anno esatto all’inizio dell’Expo. Il tunnel e il ponte stanno per essere inaugurati, ma dell’ecocittà non c’è traccia a parte cinque o sei turbine eoliche e una fattoria dedita all’agricoltura biologica. Niente case, taxi d’acqua, impianto di riciclaggio dei liquami, parco energetico. Niente. Tutto scomparso dal sito dell’Expo (slogan: «Città migliore, vita migliore»). Peter Head, l’ideatore del progetto dello studio di ingegneria londinese Arup e autore del piano generale, mi ha detto che i suoi clienti della Shanghai Industrial Investment Company «tacciono. Non sappiamo se e quando si procederà. L’ufficio progetti è chiuso». Si mormora sempre di più che il progetto sia stato vittima della crisi politica innescata l’anno scorso dall’arresto per corruzione del boss cittadino Chen Liangyu. Non è così, dice Head. I problemi sono più antichi.
«La Cina fa tutto secondo regole calate dall’alto. C’è una norma per ogni cosa. L’ampiezza delle strade, tutto. Ecco perché si è sviluppata così in fretta, grazie alla mania normativa. Noi volevamo cambiare le regole a Dongtan, lavorare in modo diverso, ma questo la Cina non riesce a farlo». È un po’ come rendere verde il pianeta. Tantissime promesse altisonanti, ma alla fin fine le vecchie usanze radicate fanno sì che succeda assai poco. In altre parole, una semplice mano di «verde». Shanghai ha spremuto ben bene i media durante i giorni d’oro della pianificazione. Se si cerca Dongtan su Google, spuntano circa 177.000 voci. Quasi tutte sono costruite su un inganno: che gli amministratori di Shanghai avrebbero voluto veramente fare le cose in modo diverso sull’isola Chongming e che il costoso piano generale di Arup per Dongtan sarebbe stato un progetto per un futuro più sostenibile. Non è vero. Non quando sono arrivati al dunque. Tony Blair ha firmato con il presidente cinese Hu Jin-tao l’accordo per disegnare e costruire Dongtan. Il suo vice, John Prescott, è andato lì due volte, come anche il principale urbanista britannico Peter Hall. Gli accademici britannici hanno effettuato controlli energetici per permettere ai futuri cittadini di Dongtan di produrre un quarto dell’impronta ecologica degli altri cittadini di Shanghai.
Il direttore della Siic (Shanghai Industrial Investment Corporation) Ma Cheng Liang, l’uomo a capo del progetto, all’inizio del 2006 mi ha detto: «Dobbiamo ridurre la nostra impronta ecologica. Dongtan è molto importante per Shanghai e per il paese». Ha spiegato come il progetto di Dongtan avrebbe impedito che l’urbanizzazione selvaggia s’impossessasse dell’isola di Chongming, lunga cento chilometri, dopo il completamento del ponte. «Vogliamo evitare l’industrializzazione tradizionale a favore del modernismo ecologico. Dongtan è l’occasione per sviluppare nuovi stili di vita». Diceva sul serio? Non lo so. È tutto finito? Forse. Con il nuovo ponte che fornisce un facile accesso al quartiere commerciale di Pudong, la zona occidentale dell’isola dov’era progettata Dongtan sarà presto ccupata da grattacieli ad alta impronta ecologica. I primi sono già in costruzione.
 
Greenwash: The dream of the first eco-city was built on a fiction, in THE GUARDIAN, 23 aprile 2009

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Last modified: 18 Luglio 2015