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Written by: Design

Come cambia il sistema mondiale dell’auto

La crisi globale sta mutando configurazione e assetto del sistema dell’auto, alterando una struttura che ha dominato un secolo di storia industriale. Il settore dell’automobile ha ruotato attorno all’industria degli Stati Uniti a partire dalla fine del primo decennio del Novecento, quando Henry Ford lanciò la sua «Model T», che incominciò a realizzare con le tecnologie e l’organizzazione della produzione di massa dal gennaio 1914. L’egemonia Usa sul sistema dell’auto si stabilì allora, per proseguire lungo tutto il secolo scorso. Soltanto all’inizio del XXI secolo ha incominciato a farsi strada la possibilità che quell’egemonia potesse venire scossa e infine scalzata dall’ascesa del maggiore produttore asiatico, la giapponese Toyota. La casa di Nagoya appariva infatti portatrice di un modello industriale alternativo a quello americano e capace di soppiantarlo, coniugando una più elevata qualità del prodotto a una maggiore flessibilità operativa. Intorno alla metà del nostro decennio, dunque, iniziò a prendere piede l’ipotesi che la Toyota potesse guadagnare il primato nel settore a danno della General Motors, ormai un gigante malato a tutti gli effetti, preda di quella sindrome del declino che affliggeva Detroit.
Su questo scenario in trasformazione si è abbattuta la crisi che ha sconvolto il complesso dell’industria automobilistica mondiale. Una crisi che non ha risparmiato nessuno, sia perché ha accelerato impietosamente il collasso dei gruppi industriali già in difficoltà sia perché ha rivelato gli elementi di precarietà sottesi anche ai marchi d’auto più forti. La crisi ha affondato i bilanci della stessa Toyota, considerata una sorta di gioiello dell’industria mondiale, e ne ha messo a nudo gli errori recenti: nella corsa per la supremazia all’interno del settore, la casa giapponese ha finito per espandere troppo e troppo rapidamente la sua produzione, con la conseguenza di pregiudicare gli standard di qualità e l’efficacia delle sue procedure operative. Non si può dire perciò che l’abisso che alla fine dell’anno scorso è sembrato sul punto di inghiottire il sistema Detroit abbia finora recato beneficio sostanziale ai principali concorrenti dei produttori americani.
Il punto è che oggi nessuno sa veramente individuare la gerarchia fra i produttori d’auto su scala globale. Chi sta in cima alla classifica? Nessuno lo può indicare con certezza perché non sappiamo quali siano i volumi di prodotto sui quali i mercati si assesteranno nei prossimi anni. Negli Stati Uniti nel 2007 si vendevano 16 milioni di vetture; quest’anno se ne venderanno circa 10 milioni. Così, come ha più volte sottolineato l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, esiste una colossale capacità produttiva (in grado di realizzare circa 90 milioni di auto all’anno) che è sottoutilizzata e deve perciò essere razionalizzata.
È in questo contesto che è ripartita la campagna delle alleanze. Com’è noto, è stato proprio Marchionne a compiere la prima mossa importante, assicurandosi la guida della Chrysler grazie al piano di risanamento e di rilancio presentato al governo degli Stati Uniti. Ma la strategia iniziale di Marchionne postulava, dopo quella con la Chrysler, un’altra grande alleanza, allo scopo di raggiungere quella soglia produttiva di sei milioni di auto all’anno da lui prospettata come una base quantitativa tale da assicurare una redditività soddisfacente. L’idea di Marchionne è che per guadagnare col business dell’auto sia indispensabile raggiungere una massa critica alta, che renda convenienti le piattaforme. Questa logica non è però l’unica possibile. Un’altra è quella di consolidare il carattere globale di un produttore per porlo in condizioni di un forte presidio di tutti i segmenti di mercato, come avviene certamente nel caso della Volkswagen, dopo l’intesa raggiunta con la Porsche al termine di una lotta per il controllo che ha avuto un costo salato per l’industria tedesca. Proprio la Volkswagen potrebbe guadagnarsi il primato mondiale, considerate le difficoltà pesanti di Detroit. Ma anche lì qualcosa si sta muovendo: la nuova General Motors sta reagendo bene e rapidamente alla sua rifondazione susseguita alla procedura di fallimento pilotato, mentre la Ford, sulla cui tenuta ben pochi avrebbero scommesso alcuni mesi fa, sta dando prova di un’insospettata capacità di resistenza alle avversità di mercato.
Allo stato attuale, non è quindi possibile avanzare previsioni su chi riuscirà vincente dall’imponente e planetaria riorganizzazione dell’industria dell’auto imposta dalla crisi. Per attendere qualche segnale più chiaro, occorrerà osservare l’incrocio fra prodotti, strategie di mercato, indirizzi dei consumatori che si compirà nei prossimi anni, con un occhio particolarmente attento ai paesi emergenti e ai tentativi di riprogettare l’automobile in base a parametri radicalmente innovativi rispetto a quelli esistenti.

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Last modified: 18 Luglio 2015