Il 13 giugno il premio teatrale della Critica 2009, assegnato presso il Teatro Era di Pontedera, ha visto trionfare, «per il fondamentale contributo scenografico dato ai recenti spettacoli classici presentati al Teatro greco di Siracusa, Medea e Edipo a Colono» Massimiliano e Doriana Fuksas, al debutto come scenografi e già freschi vincitori della Medaglia doro della Triennale. Per narrare le tragiche vicende della barbara Medea (XLV Ciclo di rappresentazioni classiche. Medea, regia di Krzystof Zanussi, costumi di Beatrice Bordone) e dellesule Edipo (Edipo a Colono, regia di Daniele Salvo, costumi di Nicola Luccarini) giunto a Colono in cerca della sua ultima dimora, nella scenografia realizzata dai Fuksas per la Fondazione Inda (Istituto Nazionale del Dramma Antico) al teatro di Siracusa, lorizzonte naturale storicamente genius loci della drammaturgia greca è stato sostituito da unimponente macchina scenica specchiante. Nella sua forma a metà tra una cattedrale di tautiana memoria e un monolito futuribile, essa riversa sul pubblico un universo deformato allinterno del quale lo spettatore si chiede se la realtà sia nello specchio o sul palcoscenico o se pure lo specchio rimandi a un mondo già di per sé riflesso allatto della drammatizzazione, come in un gioco di scatole cinesi. Lorizzonte della scena si raccoglie e si concentra nel gigantesco tronco di cono scavato rivestito da fogli di alluminio lucido: il palcoscenico abbracciato dalla lama concava coincide con lo spazio circolare dellorchestra, asetticamente bianco come in una sala operatoria emozionale. In esso coro e attori interagiscono trascinando il pubblico in una riflessione quanto mai attuale sul significato della parola straniero e sulla ferina necessità delluomo di collocarsi in un luogo definito per essere accettato dai suoi simili. Lorizzonte e il riflesso rappresentano due concetti ricorrenti nella progettazione dei Fuksas così come la dialettica materica tra preesistenza naturale e nuova forma architettonica: il contrasto lucido/opaco, liscio/ruvido, affilato/morbido non riguarda solo il rapporto tra scena e platea nel teatro antico ma, come nellantichità, coinvolge lintero orizzonte verde oltre cui si intuisce lo skyline siracusano facendo della costruzione scenica un medium effimero tra paesaggio e architettura. In unideale quanto palese coincidentia oppositorum, allarmonia di forme curve generata dalle gradinate che si riflettono nellunghia specchiante della scena, si contrappone il «caos sublime»: quello che per i Fuksas è il concetto stesso di città contemporanea si manifesta sul palco con le tracce disordinate di alfabeti, echi di una lingua scritta esplosa. La grande macchina scenica non è più solo uno specchio concavo che chiude nellimmagine come in una morsa autoreferenziale attori e spettatori, ma è una nuova Torre di Babele – il riferimento al Monumento alla Terza Internazionale di Tatlin è evidente – ai piedi della quale nessuna lingua è adatta per raccontare le odissee dei due protagonisti. Lo stesso linguaggio usato con arte da Giasone per dissimulare le sue colpe, vacilla nella «M» insanguinata dipinta alla rovescia sul palco e deformata dallo specchio e diventa luogo comune nella voce dei cittadini di Colono con il volto coperto da maschere di lattice, tutti indifferentemente uguali al pubblico come agli occhi ciechi del vecchio Edipo. Ma la barbara Medea oppone alle parole del marito fedifrago crude reazioni fisiche, la tortura e la morte, e proprio nel momento in cui egli cerca di agire non può più afferrarla: il carro del Sole appare sopra la scena sottoforma di deus- ex- machina, scintillante come un faro, ma già fuori da un universo – il palcoscenico in cui la protagonista non si rispecchia più, mostrando il suo lato divino e abbandonando Giasone in una fossa di umane sofferenze.
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