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Manuela MartorelliWritten by: Città e Territorio

In Olanda i privati si scelgono la casa a catalogo

ALMERE. In Olanda la produzione immobiliare degli ultimi decenni è stata esclusivamente caratterizzata da interventi residenziali di massa: dai grandi complessi edilizi alle schiere di villette identiche che pavimentano le periferie del paese. Se fino alla fine del XIX secolo l’acquisto di terreno da parte del singolo cittadino per la costruzione della propria abitazione era pratica comune, durante il Novecento il fenomeno è diventato marginale (se non del tutto assente) per effetto delle politiche urbanistiche postbelliche, che rispondevano alla necessità di costruire grandi quantità di case sociali in tempi brevi. Una visione in cui uno stato forte garantiva pari opportunità abitative, ma che negli anni si è solidificata in un cumulo di leggi e apparati burocratici in cui la speculazione edilizia ha avuto la meglio. Una visione in cui avevano un ruolo cruciale le cooperative edilizie, che però con la loro privatizzazione negli anni novanta si sono trasformate in vere e proprie società immobiliari.
Le critiche formulate da più parti e le insoddisfazioni dei cittadini, scaturite dall’inadeguatezza di un’offerta sempre più standardizzata, hanno fatto sì che le cose cambiassero radicalmente. La grande scossa iniziale risale al 1997 quando Carel Weeber, in un’intervista al quotidiano «NRC Handelsblad», parla per la prima volta del Het Wilde Wonen (vivere selvaggio), teorizzando, in protesta contro i sobborghi Vinex, la possibilità di costruire autonomamente la propria casa.
Nel 1998 la Camera dei deputati vara una mozione per la quale la produzione residenziale all’interno del documento Vinex (e del suo aggiornamento Vinac) deve essere caratterizzata da una maggiore varietà dell’offerta, prevedendo non solo una variazione delle classi di prezzo ma soprattutto la possibilità da parte dei proprietari d’intervenire in fase progettuale. Nel 2000, all’interno di uno dei documenti più rilevanti dell’ultimo decennio per quanto riguarda le politiche residenziali, Mensen, Wensen, Wonen (Persone, Desideri, Abitare), il governo olandese fissa l’obiettivo di far crescere il numero di abitazioni private fino a un terzo della produzione edilizia ex novo e sottolinea il ruolo chiave degli enti locali nel rendere disponibili terreni idonei. Sono infatti le singole municipalità a definire, attraverso gli strumenti urbanistici, la quantità di lotti. Ma è solo nel 2001, a seguito di una mozione presentata alla Camera, che il ministero delle Politiche abitative, urbanistiche e dei beni ambientali (VROM) inizia a stipulare un accordo con 20 province riguardo alla concessione di suolo, che si concretizza nel 2005 con il documento Woningproductie per il periodo 2005-2010 e con lo stanziamento di sussidi statali per le municipalità che finalizzeranno l’accordo. Al 2006, solo l’11% delle nuove residenze costruite era frutto di committenza privata individuale: ma è negli ultimi due anni che avviene un vero e proprio giro di vite, culminato lo scorso 30 maggio con la vendita a privati, da parte della municipalità di Almere, di 500 lotti a uso residenziale.
Con lo slogan «ik-bouw-mijnhuis-in-Almere» (io costruisco la mia casa in Almere), questo progetto pilota decolla a Homerus, quartiere periferico nella città laboratorio per eccellenza dell’Olanda, la quale già nel 2007 aveva messo a disposizione i primi 350 lotti. Si tratta di una svolta quantitativa sostanziale nell’ambito della committenza individuale (particulier opdrachtgeverschap): ben 13 quartieri con linguaggi architettonici differenti e prezzi a partire da 26.000 euro per 80 mq. Ma a deludere sono i primi esiti. Le abitazioni costruite sono del tutto convenzionali, talvolta mediocri reminescenze di fattorie olandesi, talvolta il risultato di una logica combinatoria che ricorda le costruzioni Lego. La legislazione in materia infatti rende possibile costruire la propria abitazione anche senza il progetto di un architetto, rivolgendosi direttamente ai contractors o scegliendo un progetto secondo il cosiddetto sistema della «casa a catalogo», dove elementi architettonici e differenti cubature vengono combinati a seconda dei gusti del committente, mentre il processo edilizio viene curato in toto dagli investitori immobiliari. Il risultato è che per tagliare i costi quasi nessun proprietario si rivolge a un architetto. Anche l’intricato sistema burocratico per i permessi edilizi sembra favorire questo tipo di scelta.
Le varie case modello Heidi che stanno tappezzando il paese hanno fatto sì che nell’ultimo anno sia stata avviata un’imponente campagna pubblicitaria con corsi, manuali, informazioni on-line che sottolineano l’importanza dell’apporto dell’architetto nel processo progettuale. Resta il fatto che la legge sembra favorire un processo inverso.

Autore

  • Manuela Martorelli

    Dopo gli studi in architettura prima al Politecnico di Torino e poi a Rotterdam, ha iniziato un percorso da giornalista freelance con un focus in materia di architettura contemporanea e politiche urbane dei Paesi Bassi collaborando con diverse riveste di architettura e pubblicando con NAi publisher un saggio su OMA e gli anni d’oro dell’architettura olandese. Nel 2010, dopo alcune ricerche indipendenti sulla storia del costume, ha iniziato parallelamente un percorso giornalistico e di creative direction nel mondo della moda prima come corrispondente online per Vogue Italia e in seguito per i-D, Domus, A Shaded View on Fashion. Di recente pubblicazione un testo critico di ricerca sulle influenze dell’arte visiva e delle installazioni di architettura nelle sfilate di moda contemporanea per la rivista indipendente Prestage e due servizi fotografici per L’Officiel Netherlands. È autrice delle recenti guide di architettura e design di Rotterdam per il mensile Living del «Corriere della Sera» e per «Vogue Casa Brasile».

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Last modified: 18 Luglio 2015