BRUXELLES. Annunciato da grande battage, è stato aperto al pubblico il 2 giugno il Museo Magritte, monografico sullesplicito modello del Zentrum Paul Klee a Berna, contemporaneamente centro di ricerca e imprescindibile quanto mediatizzata tappa dei percorsi turistici. Limpresa ha un forte valore politico: un tassello decisivo nella ricerca della «belgitudine», di unimmagine del paese culturalmente forte, in vista del turno di residenza dellUnione europea nel 2010. Decisiva per la città anche la posizione del museo, sulla neoclassica Place Royale, ai margini del Mont des Arts che contribuisce a rivitalizzare. Il Museo Magritte dipende dai Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique, che nel ristrutturato Hôtel Altenloh (un edificio del 1779, già ampiamente rimaneggiato negli anni ottanta) hanno dislocato una parte delle loro collezioni, cui si aggiungono i fondi della Fondation Magritte e una consistente percentuale di lasciti e prestiti da parte di collezionisti privati. In questa operazione di partenogenesi la stampa locale vede concretizzarsi la strategia della dame blanche (il dessert nazionale nel quale la panna, complemento tradizionale, viene pagato ormai a parte come supplemento), ovvero un incremento delle tariffe dentrata per la fruizione delle stesse opere davvero poco democratico (da 5 a 13 euro, adeguandosi alle tariffe correnti dellindustria culturale – il prezzo dei biglietti dei cinema multisala -, con unavvilente equiparazione di principio: dimmagini in ogni caso si tratta). Perché scandalizzarsi, se è lo stesso direttore del museo, lo storico dellarte Michel Draguet, ad auspicare la redditività delloperazione? Le conseguenze sembrano inarrestabili, e nel clima di entusiasmo dellinaugurazione è stata ventilata addirittura la costituzione di un museo monografico dedicato a Paul Delvaux, sempre a partire dalle collezioni dei Musées Royaux. La produzione di Magritte nella sua interezza e varietà viene ricostruita secondo criteri cronologico-evolutivi; tele, disegni, foto, manifesti, filmati, documenti letterari, presentati in un laconicissimo allestimento che vuole permettere molteplici livelli di fruizione e liberare lopera complessiva da interpretazioni troppo costruite. Il visitatore, quindi, munito di un libricino con la traduzione delle citazioni dello stesso Magritte, unico commento alle opere inciso sulle pareti (e senza alcuna possibilità di aggrapparsi a una data o un testo di riferimento), ed eventualmente di unaudioguida – ovviamente non inclusa nel prezzo del biglietto – parte verso la sua solitaria contemplazione delluniverso surrealista. Lallestimento, curato dallarchitetto e scenografo Winston Spriet, avvalendosi del know how fornito dal principale partner e mecenate delloperazione (GDF Suez) punta ovviamente sulla qualità tecnologica dilluminazione e climatizzazione. Linterno, sobrio, viene trattato come «scatola nella scatola», completamente svincolata e indipendente dallesterno (le finestre sono tutte oscurate; alcune allesterno proiettano i cieli di Magritte per segnalare la presenza del museo), soprattutto per questioni di risparmio energetico e sostenibilità: punti forti, quanto alla moda, non solo in questa operazione
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