DUBLINO. Chi è stato a Dublino sa che laeroporto si trova nelle vicinanze della città e che nel percorso di atterraggio gli aerei compiono una lunga virata per inquadrare la pista. È il settembre del 2007 e dal mio sedile si gode una vista spettacolare: unincredibile quantità di gru da cantiere sembra sorreggere il cielo e le nuvole sopra la città. La capitale è assetata di architetti. Attraverso il vicino di casa vengo a sapere che un grande studio, Douglas Wallace Architects, sta cercando collaboratori. Mando il mio curriculum e vengo invitato per un colloquio. Per un disguido interno Hugh Wallace in persona mi sottopone al primo colloquio portandomi a pranzo. Racconto dellItalia, dei progetti che ho alle spalle. Poi parla lui. Dice che in Irlanda cè spazio per la crescita di persone che sappiano farsi valere. Dice che hanno un progetto molto grosso che sta per partire. Poi mi chiede senza mezzi termini quanto voglio. Glielo dico; la cifra mi sembra pazzesca, ma è frutto di serate di calcolo, ricerche e tormenti di coscienza. Risponde che solo per la mia esperienza avrei dovuto chiedere di più, che comunque mi farà sapere. Supero anche il successivo colloquio e finisco nei loro ranghi. Lo studio è grande (solo a Dublino sono novanta architetti, tra cui pochi irlandesi) e ha sedi distaccate in Irlanda e in Europa dellEst. Mi danno una scrivania vicino a Vincenzo, sardo, a Dublino da quattro anni. Il progetto a cui dovrò lavorare è unarea immensa, divisa in tre parti consegnate ad altrettanti grandi studi irlandesi: 24.000 mq commerciali, 80.000 di uffici e 150.000 mq di appartamenti. A marzo 2008, le grandi compagnie di supermercati interessate al progetto iniziano a intiepidirsi e le proposte per gli altri edifici si sgonfiano per mancanza di mercato. Si scopre inoltre che in mezzo passa un elettrodotto (servirebbero 20 milioni per interrarlo) e che quattro metri sotto terra un solido strato di roccia fa diventare un incubo ogni parcheggio interrato. Mi chiamano per una riunione improvvisa; trovo nella stanzetta il mio manager e una delle persone incontrate per i colloqui, quasi sei mesi prima. A loro spiace molto comunicarmi che non hanno intenzione di confermarmi il contratto, ma mi chiedono di lasciare la scrivania entro sera. Tre giorni dopo scopro che la mia sorte è toccata ad altri trenta. Grazie a un contatto italiano trovo un cliente che vuole aprire una catena di bar-ristoranti in Irlanda e, iscrivendomi allalbo irlandese, riprendo a fare il libero professionista, anche se la situazione attorno a me diventa patetica. Gli amici raccontano degli esuberi nei loro studi, di riunioni terroristiche in cui vengono annunciati licenziamenti da farsi da lì a tre mesi, senza che venga definito chi dovrà andarsene e chi no. Molti amici sono ritornati nel loro paese; qualcun altro ha formulato piani più tattici, come Vincenzo, che ha deciso di spostarsi in Messico; qualcuno si piega a cercare posti in campi diversi, dopo aver spedito centinaia di curriculum. A oggi Douglas and Wallace ha comunicato di essere in amministrazione controllata per evitare la bancarotta. Gli studi più grandi vivono un momento di sospensione, mentre nei grandi cantieri gli esterni vengono finiti alla spicciolata e gli interni restano completamente nudi. In parallelo si sono formati giovani studi, di dimensioni contenute e capaci di gestire meglio le difficoltà del momento. I lavori sono molto più modesti ma la qualità sembra migliore, risultato di una contaminazione architettonica, vera eredità di un decennio di fermento. Nonostante ora ci siano molte meno gru a sostenerli, il cielo e le nuvole di Dublino sono ancora allo stesso posto e qualcuno, azzardando una punta di ottimismo, inizia a sussurrare che forse rimarranno così, nonostante la crisi.
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