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Davide BorsaWritten by: Inchieste

Maddalena anno zero

LA MADDALENA (SASSARI). Il G8 come occasione di riscatto da trent’anni di servitù militare nucleare americana avrebbe potuto cambiare in meglio il volto dell’isola? Bellissima e scarruffata lo è sempre stata: il mix irresistibile di natura selvaggia e incontaminata, di spiagge dalle sabbie e trasparenze tropicali in pieno Mediterraneo, il fascino delle installazioni militari, che aggiungono una nota di severità alla dolcezza del paesaggio, l’architettura di fine Otto – primo Novecento, l’esotica presenza della base americana, con le sue emozioni da guerra fredda e intrigo internazionale, un’economia basata esclusivamente sui tre mesi di tutto esaurito vissuti spesso come un male necessario, campando anche di terziario e indotto della base militare, la rendevano un unicum geoantropologico.
La Maddalena ha vissuto la sua autonomia e differenza con orgogliosa fierezza, misurando le distanze sia dal caos edilizio nazional-popolare di Palau sia da vippismo della Costa Smeralda, diventando habitat propizio per l’insediamento dell’élite radicalchic, ritirata in inaccessibili quanto esclusive ville, pieds dans l’eau. A questa pervicace insularità sono da ascriversi la mancanza di una visione strategica di disegno territoriale e di una verae propria cultura dell’accoglienza e del turismo. Neppure la costituzione del Parco nazionale, vissuta dai residenti obtorto collo (l’ente è stato da poco commissariato) è riuscita a imprimere una svolta. Si deve alla perspicacia del terzetto Soru-Prodi-Parisi, nella scorsa legislatura, il principio dell’intervento straordinario di riqualificazione e bonifica dell’area dell’ex Arsenale, un comparto contrassegnato da preesistenze militari circondate da una corona d’interventi di edilizia cooperativa agevolata, per dipendenti della Marina e arsenalotti. Un’azione che ha segnato la volontà da parte dello Stato di risarcire la comunità dopo trentacinque anni di servitù militare americana (terminata nel 2007) e di consentire il recupero di una porzione di territorio per una nuova destinazione turistica, ma che ha poi sollevato molte proteste nell’attuale declinazione «privatistica» della gestione Berlusconi, accusata di aver perso per strada le finalità pubbliche e il ritorno sul territorio.
L’iniziativa, oltre ad avere accelerato dibattiti e progetti fermi da anni, come quelli del depuratore, della bonifica, dello spostamento dei parcheggi e del nuovo porto turistico, presenta novità importanti: prima fra tutte il tentativo di aggiornare attraverso le tematiche del riuso e della sostenibilità il linguaggio espressivo dell’architettura allontanandolo dalle fruste declinazioni dell’imperante stile mediterraneo neomiceneo, in un equilibrato dialogo tra antico e nuovo. Una rivoluzione per decreto, in linea con la nouvelle vague del moderno «intelligente» patrocinata da Renato Soru con il trapianto degli architetti «internazionali».
L’onnipresente Stefano Boeri ha coordinato il masterplan per la trasformazione dell’ex Arsenale (un hotel, un centro congressi che avrebbe dovuto ospitare ilG8 e il centro delegati, diventato poi sala conferenze, oltre a spazi commerciali e a un porto turistico, per un costo totale di 209 milioni), mentre a Mario Cucinella è subentrato lo Studio Archea di Marco Casamonti per l’ex ospedale militare marittimo, trasformato in albergo 4 stelle (costo stimato 48 milioni). Al lettore il compito di riflettere sul perché questi processi siano lasciati sempre più spesso all’episodicità e alle procedure semplificate per decreto (e per giunta affidate alla Protezione civile per superiori interessi dello Stato), e non a normali percorsi di progettazione e programmazione urbanistica di trasparente democrazia. Degli interventi, va sottolineata la riuscita integrazione nel paesaggio, la scelta di profili bassi e di pietra locale per i muri terminali delle stecche, e lo sfruttamento delle preesistenze, in parte restaurate integralmente e in parte ridisegnate, nonché l’attenzione all’ecocompatibilità.
L’insieme è abbastanza gradevole anche senza gli interventi di disegno del verde che ancora mancano e chissà come e quando verranno eseguiti. Il linguaggio del complesso alberghiero nell’ex Arsenale (ora preso in gestione dalla Mita Resort di Emma Marcegaglia) è quello di un astuto repêchage modernista che riprende la qualità di alcuni sobri interventi che sullo scorcio degli anni sessanta iniziavano a colonizzare la Costa Azzurra. Per gli interni e la caratterizzazione degli spazi, in vero un po’ minimal, si è chiamato il talentuoso stilista Antonio Marras, che ha riproposto la sua vena di nostalgie novecentesche mediterranee sardinian sauce. Anche l’episodio della sala conferenze, strombazzato e ripreso dai media, la sala col pavimento sospeso sul mare (ma c’è solo un oblò!) è una scatola con ampie vetrate strutturali rivestita da una texture brise soleil in policarbonato, dalle decadenti atmosfere seventies, tutte giocate sul contrasto tra le grandi lastre preparate con un wafer in biglia di Bianco Carrara e il vetro nero serigrafato: un set perfetto per un film di James Bond, manca solo l’acquario con gli squali. Le atmosfere dell’albergo rimandano a un turismo di nicchia, un po’ snob e vintage, che preferisce ambienti minimal e in decisa controtendenza rispetto alle allegre caciare di Porto Cervo. Ma siamo sicuri che ci siano i numeri e i soldi per garantire il successo dell’operazione nell’offerta del contemporaneo marketing turistico globale internazionale? Dopo l’asta andata deserta dell’hotel ricavato nell’ex ospedale di proprietà della Regione, è lecito nutrire qualche dubbio, anche per le voci di una classica nuova colata speculativa di cemento residenziale (si parla di 7.000 mc non previsti nel progetto Boeri, ma inseriti nel contratto di gestione dell’area).
Nonostante la promessa governativa di organizzare almeno sette eventi internazionali all’anno, solo la sinergia con gli altri progetti di riqualificazione ambientale e urbana e una politica di effettiva valorizzazione del Parco nazionale e dei giacimenti culturali, come previsto dall’adeguamento del PUC e dal nuovo Piano strategico, potranno garantire uno sviluppo sostenibile e trasformare la perla dell’arcipelago della Maddalena nel porto turistico più bello del Mediterraneo, in grado di candidarsi per ospitare la Coppa America.

Autore

  • Davide Borsa

    Laureato in Architettura al Politecnico di Milano con una tesi su Cesare Brandi, pubblicata con il titolo Le radici della critica di Cesare Brandi (2000), è dottore di ricerca in Conservazione dell'architettura. È corrispondente del “Giornale dell'Architettura” e ha scritto per “Arte Architettura Ambiente”, “Arcphoto”, “Ananke”, “Il Giornale dell'Arte”. Suoi contributi sono in atti per il seminario internazionale “Theory and Practice in Conservation- A tribute to Cesare Brandi” (Lisbona 2006), per la giornata di studi “Brandi e l’architettura” (Siracusa 2006), per il volume “Razionalismo lariano” con il saggio “Eisenman/Terragni: dalla analogia del linguaggio alla metafora del testo” (2010), per il volume “Guerra monumenti ricostruzione. Architetture e centri storici italiani nel secondo conflitto mondiale” (2011). Ha curato il volume “Memoria e identità del luogo. II progetto della memoria” (2012). Ha fatto parte dello staff curatoriale del Padiglione Architettura Expo 2015 per il ciclo di convegni Milano capitale del moderno. Presso il Politecnico di Milano collabora alla didattica nei corsi di Storia dell'architettura contemporanea, Teoria del restauro, Composizione architettonica e urbana e ai laboratori di Restauro e di Progettazione architettonica.

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Last modified: 18 Luglio 2015