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Andrea UgoliniWritten by: Progetti

Classis Ravenna, l’archeologia nell’ex zuccherificio

Visita a Classis Ravenna, museo della città e del territorio, caposaldo ai margini dell’omonimo parco archeologico

 

In principio fu lo zuccherificio

RAVENNA. Nel 1930 la società Eridania zuccherifici nazionali acquista dalla società Ligure Ravennate per la coltivazione della barbabietola da zucchero gli stabilimenti di Classe sorti nel 1899 vicino all’antica basilica di Sant’Apollinare. Agli inizi del Novecento lo zuccherificio occupava più di 600 operai che trasformavano quintali di barbabietole in zucchero che per ferrovia e nave raggiungevano l’intera Europa. Nel 1982 lo zuccherificio chiude e presto con l’abbandono arriva anche il degrado. L’area viene dismessa e i suoi stabilimenti abbandonati; a metà anni ’90 il Comune acquisisce l’intero complesso per destinarlo a museo. I lavori hanno inizio solo nel 2002. Vengono interrante le grandi vasche esterne per la lavorazione della barbabietola, abbattuta definitivamente la ciminiera, demoliti i magazzini a ridosso della linea ferroviaria. Ciononostante, sotto le imponenti campate dell’edificio rimasto oggi si sviluppa una delle più interessanti aree espositive della Regione con i suoi 2.600 mq di spazi per la cultura: Classis Ravenna, museo della città e del territorio, inaugurato l’1 dicembre scorso e costato circa 25 milioni.

 

Il contesto

Classis Ravenna, caposaldo ai margini dell’omonimo parco archeologico, costituirà il punto di partenza verso la città. Ulteriore tassello di quell’ambiziosa e virtuosa sfida per la messa a sistema dei sistemi museali del territorio condotta dal Comune e da Ravenna Antica, la Fondazione a cui è stata demandata la realizzazione e la gestione del nuovo museo, insieme a quelle dell’Antico porto di Classe e, nel cuore di Ravenna, della Domus dei tappeti di pietra, il Museo Tamo e la Cripta Rasponi.

 

La ristrutturazione

I primi studi per la ristrutturazione dell’ex zuccherificio datano a fine anni ’80. La scatola muraria esistente, come racconta l’architetto Franco Stringa, già dirigente presso gli uffici tecnici comunali (edilizia e pianificazione), all’epoca venne interpretata come una “pelle” costruita a protezione di un’oramai inutile “macchina in ferro e ghisa per la lavorazione della barbabietola”. Una “macchina” sostituita a sua volta da una nuova in acciaio e cemento che, oltre ad assolvere alla nuova funzione, concorreva alla stabilità di murature, comunque di discreto spessore. I segni del lavoro, del tempo e dell’abbandono furono cancellati dal nitore dei nuovi intonaci e delle nuove coloriture su cui oggi spiccano le scure strutture del nuovo. La suggestione di superfici non finite o la presenza di macchinari antichi, che in altri coevi progetti di riconversione di edifici industriali sono divenuti occasione di arricchimento di significati di ciò che veniva aggiunto, qui furono negati a fronte di una più facile e rassicurante sostituzione di pelle e struttura. All’esterno, dove un tempo sorgeva la ciminiera vennero edificati nuovi corpi di fabbrica in laterizio, ad imitazione di quelli ottocenteschi e realizzata una gradonata di accesso al museo, segnata da un’onda azzurra di mosaico.

 

L’allestimento

Nel 2008 s’insedia il comitato scientifico guidato dal professor Andrea Carandini, istituito per elaborare i criteri espositivi del futuro museo archeologico la cui inaugurazione era prevista per il 2011. La sistemazione interna di Classis Ravenna porta la firma dell’architetto Andrea Mandara, scelto dal Comune e dalla Fondazione a seguito di procedura aperta di gara ai sensi dell’art. 83 del D.Lgs. 163/2006, per la sua offerta tecnica e il suo curriculum di esperto in mostre di carattere archeologico. L’allestimento progettato da Mandara segue ed interpreta la spazialità creata dalla nuova “macchina”. Una vela sospesa con immagini ispirate ai contenuti del museo accoglie il visitatore al suo ingresso e lo invita ad addentrarsi nel racconto. La linea del tempo, che segna il percorso di visita, scorre attraverso gli oltre 600 reperti, che coprono il periodo storico che va dall’epoca pre-romana all’anno Mille e raccontano le fasi più significative della vita di Ravenna. Oggetti della vita quotidiana, anfore, ceramiche, monete, armi vengono accostati a mosaici, statue, sarcofagi… testimoniando l’evoluzione di un territorio e la multietnicità delle sue popolazioni. Il racconto si sviluppa avvalendosi di plastici, proiezioni e apparati multimediali (purtroppo non interattivi), utilizzati come compendio alla visita adoperando una grafica non sempre impeccabile (manca talvolta la provenienza dell’oggetto) e poco convincente specie nel logo che avrebbe potuto evocare i caratteri delle insegne del vecchio stabilimento.

 

I reperti

Il materiale esposto, tra cui però ancora non figura la cosiddetta “Nave di Teodorico” destinata a questa sede, non proviene solo dagli scavi di Classe, come era nelle intenzioni dei primi curatori del progetto, ma anche dai depositi (e questo è positivo) e purtroppo anche dalle sale di altri musei come quello nazionale di Ravenna, da quello di San Pietro in Campiano, dal palazzo Mazzolani di Faenza e dall’Antiquarium di Castelbolognese.

 

La sfida

Oggi, però, Classis Ravenna non si offre solo come contenitore di materiali ma accetta la sfida di essere centro di ricerca e luogo formazione, dotato di laboratori didattici, di restauro, d’inclusione per la sperimentazione di start-up. Spazio aperto alla collettività (ospita peraltro la sede del comitato cittadino di Classe), luogo di virtuosa rigenerazione urbana e territoriale inserito in un parco di 15.000 mq a disposizione di tutti, indipendentemente dagli orari del museo. Ora davvero inizia la grande sfida, politicamente meno eclatante ma sicuramente più gravosa in termini etici: quella della gestione, manutenzione e conservazione di un patrimonio fatto di oggetti fragili, di manufatti e contesti che raccontano la storia di una città, della sua gente e del suo territorio.

 

Autore

  • Andrea Ugolini

    Professore associato di restauro architettonico presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna. In qualità di esperto ha partecipato a campagne di scavo in Italia e all’estero e ha collaborato più volte con il MIBAC. Sino al 2007 ha svolto attività professionale occupandosi di progetti di restauro di beni culturali. Autore di monografie e articoli di restauro pubblicati in riviste specializzate, dal 2013 è associato alla Società italiana dei restauratori di architettura (SIRA)

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Last modified: 5 Dicembre 2018