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Silvia MazzaWritten by: Patrimonio

Vittorio Sgarbi e il nodo dei beni culturali in Sicilia

Vittorio Sgarbi e il nodo dei beni culturali in Sicilia

Bilancio, con intervista tra le righe, a due mesi dall’insediamento dell’assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana: tra progetti a effetto, tensioni con i soprintendenti, anastilosi archeologiche e politiche per il rilancio dei borghi storici

 

La stampa e l’opposizione lo danno in uscita dal giorno dopo l’insediamento della nuova Giunta regionale Musumeci, il 30 novembre scorso. Lui, invece, Vittorio Sgarbi, assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana, in vista delle politiche di marzo capolista di Forza Italia in Emilia Romagna per la Camera e al duello col pentastellato Luigi Di Maio nel collegio di Acerra, conferma quanto aveva già dichiarato: «Lascerei la Sicilia solo se Berlusconi mi chiedesse di fare il ministro dei Beni Culturali, in caso di elezione, invece, mi dimetterei e rimarrei a fare l’assessore regionale in Sicilia, ruolo che mi piace e mi gratifica ampiamente». A confermarlo tutta una serie di progetti messi in cantiere o avviati, in meno di due mesi, che più che a una parentesi fanno pensare a un mandato per l’intera legislatura.

 

Il primo atto d’indirizzo e l’Authority per la Bellezza, nel segno della «specialità siciliana»

Non si tratta solo di progetti «ad effetto», come quello con cui aveva esordito in campagna elettorale e che sta portando avanti (vedasi di seguito alla voce Selinunte), ma anche di progetti meno eclatanti e nondimeno «a sorpresa», magari perché non ci si aspetterebbe proprio da lui quell’attenzione alla «specialità» siciliana (la Regione, come si sa, ha competenza esclusiva in materia di beni culturali), non avuta da ben sei assessori siciliani dell’era Crocetta. Stiamo parlando dell’acquisizione al patrimonio regionale di un edificio monumentale, il Castello di Schisò (nella foto), finito all’asta, per destinarlo al primo Parco archeologico in Sicilia in quanto a visitatori, quello di Naxos (Messina). L’operazione, infatti, rappresenta un’occasione di verifica delle potenzialità di tali istituti autonomi, nati in Sicilia nel 2000 con la Valle dei Templi di Agrigento, sui quali è stata esemplata la riforma nazionale dei musei targata ministro Franceschini: per la prima volta la prelazione, non più esercitata da tempo immemore dalla Regione, è resa possibile grazie ai fondi di cui dispone il Parco dotato di autonomia finanziaria. L’intenzione iniziale, però, era un po’ diversa; insoliti gli sviluppi. Un rappresentante dell’amministrazione pubblica avrebbe dovuto, infatti, partecipare all’asta del 20 dicembre scorso, mentre si era deciso, qualora non si fosse riusciti a entrare in possesso del bene, di relegare a opzione di riserva la prelazione, che la Regione ha il diritto di esercitare perché l’edificio è vincolato. Ma che cosa s’intendeva ottenere partecipando a quest’asta? Provocare come minimo un danno erariale, pagando a una cifra frutto di un gioco al rialzo l’edificio nella cui proprietà, invece, la Regione sarebbe potuta entrare in possesso esercitando, appunto, il diritto di prelazione? Interrogativi questi che avevamo posto all’assessore Sgarbi il 10 dicembre scorso al Castello Ursino di Catania, dov’è in corso una mostra di cui è curatore. Va a lui riconosciuto di aver colto immediatamente l’inopportunità dell’operazione, autorizzando alla fine solo la prelazione. Oggi ci dichiara: «È andata meglio di ogni previsione. Potremo, infatti, esercitare il diritto di prelazione per 1,615 milioni, il 25% in meno rispetto alla base d’asta di 2,152 milioni, evitando che resti in mani private, mentre con l’acquisizione pubblica lo si destinerà a ospitare il Museo archeologico oggi in spazi angusti, i depositi e gli uffici amministrativi attualmente dislocati in tre plessi».

La Sicilia autonoma si presta anche per altri test. L’assessore-critico d’arte ha pensato a un’Authority (o Commissariato), come quella indipendente anticorruzione, ma per la Bellezza, che farebbe della Regione un banco di prova in cui recuperare la storica figura dell’ispettore onorario, paradossalmente in disuso contro il crescente coinvolgimento del volontariato e della società civile nei diversi ambiti definiti dal Codice del 2004. Secondo una struttura piramidale, con al vertice tre commissari, uno per ogni «vallo», ricalcando la circoscrizione amministrativa in cui veniva divisa l’isola in epoca normanna, prevede alla base 391 ispettori onorari.

 

«Lo sospendo!», anzi no

Non avrebbe avuto precedenti la scelta di sospendere o trasferire un soprintendente che sarebbe venuto meno al compito istituzionale di tutela del patrimonio. Poi Sgarbi lo ha confermato, il soprintendente, Orazio Micali, che non ha commesso alcun illecito amministrativo nella vicenda della demolizione di ciò che restava di un palazzo del Settecento in largo Avignone a Messina (nella foto d’epoca, prima di precedenti demolizioni), che aveva resistito a ben due terremoti, del 1783 e 1908, per far largo a una torre di 22 piani. L’assessore si è poi scusato col soprintendente «per aver immaginato che fosse stato così folle da cedere a un diktat della magistratura» (la ditta ha fatto leva su una sentenza del Tar per giustificare la demolizione). Eppure quanto ha dichiarato a questo giornale fa pensare che Sgarbi non fosse andato poi tanto lontano dalla verità. Vale forse la pena soffermarsi, dato che si tratta della città di cui abbiamo recentemente delineato un ritratto tra ombre e luci. Ad azione giudiziaria in corso a Micali non è consentito rispondere a tutte le domande che gli abbiamo posto, né è tenuto a rendere conto di certo della «distrazione» di chi l’ha preceduto, che si allunga su più lustri, ma avremmo voluto sapere, proprio in prospettiva, se condivide nel merito il parere favorevole alla demolizione dato da chi dirigeva il suo ufficio nel 2013 o se ne prende le distanze, ritenendo che il nuovo strumento di tutela del Piano paesaggistico (Pp) entrato in vigore il 12 ottobre scorso sia sufficiente a tutelare questa tipologia di edifici, per i quali consente solo azioni di recupero, niente demolizioni soprattutto, o resti la necessità del vincolo architettonico. Ricordando che le prescrizioni del Pp prevalgono sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici, il soprintendente ha sostenuto che «l’approvazione del 2013 è cessata di validità» («Gazzetta del Sud»). A demolizione ancora calda, forse nella foga della difesa d’ufficio, sembra dimenticarsi, cioè, che il Pp non ha valore retroattivo, non può applicarsi alle autorizzazioni pregresse. È quasi una questione di buon senso: s’innescherebbe una catena infinita di ricorsi. Una revisione dei pareri già rilasciati può comunque sempre essere fatta, come aveva tuonato Sgarbi, avviando il vincolo monumentale, previa revoca del parere.

Una cosa, però, ce l’ha detta il soprintendente, e lascia intendere abbastanza. Riguarda proprio il modo in cui debba interpretarsi il mantenimento della facciata superstite che, peraltro, dai rendering del progetto sembra un falso storico. Per Micali «lo stato di conservazione della materia muraria, che di per sé non costituisce una testimonianza unica e di particolare pregio, potrebbe essere oggetto di ricostruzioni anche con tecniche contemporanee, conformemente a quanto richiesto dal Codice dei beni culturali, fermo restando la riconfigurazione dell’apparato decorativo nello stato originario. Ciò perché non stiamo parlando di un organismo edilizio tutelato, ma di una compagine muraria appartenente a un edificio urbanisticamente indicato come “pregio storico-artistico”. Una certificazione d’interesse per la collettività che non ha impedito al giudice di disporre quanto ha disposto». Insomma, non sembra che, fosse stato per lui, questo «pregio» l’avrebbe riconosciuto apponendo un vincolo. Da Cesare Brandi, padre del restauro, in poi, è concezione assodata che la materia, di un’opera d’arte come di un monumento, non si limiti alla consistenza materiale di cui risulta costituita, ma sia strettamente connessa all’aspetto del bene. Con l’ultima frase, invece, rischia di far vacillare di nuovo Sgarbi: non spetta di certo a un tribunale, ma sicuramente a un istituto preposto alla tutela, contribuire alla formazione, laddove latitante come a Messina, di una coscienza collettiva atta a preservare le rare testimonianze architettoniche del passato.

 

Il nodo Siracusa

L’avevamo titolata così l’inchiesta del 2014 de «Il Giornale dell’Arte» sui grossi interessi speculativi in aree tutelate che si erano annodati con l’azione di contrasto messa in campo dai vertici del Dipartimento BBCC non, però, nei confronti di quegli stessi interessi, bensì contro quei dirigenti interni alla Soprintendenza (Rosa Lanteri, Alessandra Trigilia e Aldo Spadaro) che, non facendo altro che compiere il loro dovere di funzionari preposti alla tutela, vi si erano efficacemente opposti. Emblematica l’illegittima, come poi si stabilì in un’aula di un tribunale, sospensione dall’incarico che dovette subire l’allora soprintendente Bice Basile. E dunque, da oltre un anno, con l’insediamento della soprintendente Rosalba Panvini (pensionata nel frattempo Basile) sembra che quel «nodo» si sia riformato. Su alcune disposizioni della soprintendente la Procura della Repubblica ha aperto le indagini, e anche l’assessore Sgarbi ci dice di voler approfondire. Panvini avrebbe, infatti, permesso che lavori riguardanti una villa privata distruggessero numerose tombe di una necropoli del V secolo a.C., in un’area sottoposta al Pp (livello 3, massimo) e che rientra nella fascia di rispetto del parco archeologico di Siracusa (zona B di inedificabilità assoluta). Bloccati i lavori, avrebbe omesso di denunciare il danneggiamento del patrimonio archeologico e stravolto il parere che l’Unità archeologica aveva espresso nella variante al progetto iniziale richiesta dal committente. Ad oggi il cantiere e tutta la documentazione sono stati sequestrati dalla Procura. Avrebbe autorizzato, poi, lavori di adeguamento dello stadio De Simone senza provvedere all’esecuzione di scavi preventivi per accertare la presenza di evidenze archeologiche. A lavori appena iniziati, spuntano sepolture, strutture e pavimenti relativi all’abitato ellenistico-romano, oltre a un muro imponente, probabilmente bizantino. È la ditta stessa a bloccare i lavori e darne comunicazione alla Soprintendenza. E ancora, nell’isola di Capo Passero con un Pp livello 3, vincolo architettonico, vincolo del Piano Riserve, vincolo del Piano Pantani, la soprintendente ha autorizzato un resort di lusso, mentre il Comune ha poi ritirato la sua autorizzazione.

Nominata illegittimamente (docente a contratto e non ordinario, come richiesto) in seno al Consiglio regionale BBCC, organo consultivo insediato a fine legislatura da Crocetta con componenti privi di autorevolezza, e che Sgarbi ci dice non avere dubbi che vada sciolto, Panvini ha dato subito prova d’un evidente conflitto d’interessi, rimettendo in discussione in sede di Consiglio, appunto, la perimetrazione dell’istituendo parco archeologico di Siracusa, in particolare nella «zona C», proprio dove il PRG prevede la costruzione di 501 villette per social housing. Poi ci sono le autorizzazioni per il solarium adiacente la fontana Aretusa e per quello previsto alla spiaggia di Cala Rossa, e altro ancora.

Questo il quadro, mentre appena qualche giorno fa il presidente della Regione, Nello Musumeci, ha prorogato Panvini come commissario dell’ex Provincia di Caltanissetta. Siamo a quota tre incarichi regionali, quattro con quello all’Università: tutto in regola con il limite che fissa a due incarichi quelli conferiti dall’Amministrazione regionale (Lr n. 9/2015, art. 49, c. 26)?

 

A cinquant’anni dal sisma, il vincolo per Poggioreale Vecchia

Ancora attenzione alla tutela da parte di Sgarbi. A metà gennaio scorso, in occasione della cerimonia per ricordare il sisma che la notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 colpì il Belice, provocando oltre 300 vittime e la distruzione d’interi paesi, l’assessore ha disposto che il centro storico del paese simbolo dell’immane tragedia, Poggioreale Vecchia, sia sottoposto a vincolo. «Poggioreale», ha detto, «è uno straordinario teatro di rovine sospeso tra dramma (terremoto) e poesia (il fascino di una città ferma nel tempo). È una sorta di Pompei che porta i segni della distruzione, ma è anche un luogo della memoria».

 

Un patrimonio archeologico da rimettere in piedi (non solo metaforicamente)

Dalle rovine «sospese» a quelle archeologiche, diversi progetti messi in campo: dall’anastilosi del tempio G di Selinunte (nella foto; © Pier Paolo Raffa) alla ricostruzione allusiva (in assenza dei materiali originari) del tempio di Zeus ad Agrigento, a quella di alcuni edifici dell’antica Morgantina (Enna).

Progetto non nuovo il primo, la prima volta se ne parlò negli anni ’70, Sgarbi lo difende dalle polemiche: «L’anastilosi del tempio G di Selinunte, uno dei più imponenti dell’antichità classica, ha una sua validità sia a livello scientifico, perché fornirebbe informazioni sulle caratteristiche del tempio in gran parte da scoprire, sia conservativo: sottraendo i rocchi al suolo dal degrado, che di valorizzazione, sarà l’ottava meraviglia del mondo». Tra i tecnici chiamati da Sgarbi a valutare la fattibilità dell’operazione c’è anche il soprintendente del Mare della Regione siciliana, Sebastiano Tusa, che si dichiara «possibilista, poiché da sempre si sono fatte ricostruzioni più o meno parziali dei monumenti archeologici. La posizione negazionista è assolutamente ipocrita. Se si verificano condizioni di continuità di finanziamento e direzione d’intenti è possibile innanzitutto studiare il tempio come mai è stato fatto, per poi operare parziali ricostruzioni di parte del colonnato». Precondizioni per le quali l’assessore assicura: «Stabilite le tempistiche, servono 30 mesi di lavori e 15 milioni di fondi privati già trovati». Tusa ribadisce, inoltre: «La ricostruzione costituisce un’ottimizzazione della conservazione».

Ma in quanto a emergenze conservative, poco distante dallo stesso tempio G, SiciliAntica appena l’anno scorso aveva denunciato che «il tempio E rischia di cedere perché le parti in ferro inserite negli anni ’50 si stanno arrugginendo». Il soprintendente non risparmia, infine, la stoccata polemica: «Non siamo più al tempo degli intervalli della vecchia TV in B/N con le pecorelle che passeggiavano romanticamente sulle rovine! Dobbiamo tenere conto della sensibilità non solo di noi addetti ai lavori, ma anche della molteplicità della gente che oggi visita i siti archeologici». Punti di vista: dagli addetti ai lavori magari ci si attenderebbe l’«educazione» dei visitatori, piuttosto che assecondare «una cultura di moda del turismo rozzo, spettacolare, diseducativo», come ebbe a dire Ranuccio Bianchi Bandinelli a proposito dell’anastilosi del tempio E. Tra gli ipocriti negazionisti, ruskiniani estimatori delle rovine ci sono, poi, professori del calibro di Salvatore Settis, che nel 2011 quando l’idea era stata rispolverata dal Governatore Raffaele Lombardo insieme allo scrittore Valerio Massimo Manfredi (oggi nello staff di Sgarbi) l’aveva bollata come «opera di regime fuori fase storica», o Dieter Mertens, che da decenni dirige campagne di scavo a Selinunte.

Per una questione che divide gli specialisti, altre incontrano maggiore favore. Ad Agrigento, ci dice Sgarbi, «stiamo valutando la fattibilità di affidare a Edoardo Tresoldi la ricostruzione del tempio di Zeus nella Valle dei Templi come fatto con l’“ologramma” di rete metallica per la basilica del XII secolo a Siponto, nel Foggiano». Il giovane architetto è stato coinvolto anche per il sito archeologico di Morgantina, dove si confronterà per la prima volta con una ricostruzione a scala urbana: le tre stoai che circondavano l’antica agorà.

Infine, per completare l’intervento conservativo della Villa romana del casale a Piazza Armerina è servito che tornasse proprio lui, che ne era stato Alto commissario sotto il Governo Cuffaro. A sette anni dalla chiusura del cantiere, Triclinio e Terme sono rimaste con la vecchia copertura, con avanzamento del degrado dei mosaici. «Inaccettabile che manchi ancora un 30% di lavori dopo tutti questi anni. Ho già provveduto a stanziare 9 milioni di fondi comunitari», ci dice Sgarbi.

 

La grande utopia delle case a un euro: Salemi out, Gangi ok

A proposito di progetti che in passato lo avevano visto protagonista, Sgarbi non ha difficoltà a riconoscere che a Gangi (nella foto) da qualche anno è diventata realtà la «grande utopia» delle «case a un euro» fallita a Salemi, dove egli l’aveva lanciata nel 2008. Contro un complicato pacchetto operativo, fatto di Regolamento per la dismissione del patrimonio, Linee guida che ne disciplinavano modi e tempi, e approvazioni da Soprintendenza e Genio civile, la formula del vaccino antispopolamento messa a punto nel borgo del palermitano è semplice: un privato fa un mandato al sindaco impegnandolo a regalare al prezzo di un caffè la casa nel centro storico in cambio del suo restauro entro tre anni, attenendosi ai vincoli della Soprintendenza. Il Comune, cioè, fa solo da tramite, firmando una convenzione col privato col quale si impegna a trovare l’acquirente, mettendo anche a disposizione le competenze del suo ufficio tecnico e i servizi (gratis) di un’agenzia immobiliare. L’atto di vendita si firma in Comune. Se fosse, invece, il Comune a vendere direttamente si configurerebbe il reato di danno erariale: è questo il passaggio nodale che ha fatto fallire l’operazione Sgarbi. La prima casa viene acquistata nel 2011, da allora sono stati 182 gli atti rogati, 62 le case già restaurate e 3.000 le richieste da tutto il mondo, mentre altrove simili operazioni sono state fermate dalla burocrazia, da Carrega Ligure (AL), Lecce dei Marsi (AQ), Pizzone (IS), Maremma a Montieri (GR) e Regalbuto, ai piedi dell’Etna (cfr. “La Repubblica”, 3 maggio 2016). In pochi anni i posti letto a Gangi sono saliti da 40 a 1.000 (su 7.000 abitanti), i musei da 3 a 10, il Comune non ha un indebitamento né una causa, nessun commerciante paga il pizzo. Dietro l’operazione Gangi, borgo tra i più belli d’Italia, c’è un sindaco-manager, insediatosi nel 2007 (esaurito il suo secondo mandato, dopo le ultime amministrative è vicesindaco, in realtà sindaco ombra), Giuseppe Ferrarello, direttore amministrativo di un grande gruppo alberghiero, anima, oltre che del progetto case gratis, di tutta una serie d’iniziative che hanno alla base l’intransigenza contro ogni lottizzazione politica e come radice comune l’applicazione di logiche e della creatività del privato al pubblico, secondo però una ricetta originale, attenta alle politiche sociali. Rilanciare l’economia e creare un paese gioiello è stato possibile, a detta di Ferrarello, «a partire da un mutamento profondo della mentalità che ha prodotto un cambiamento culturale».

 

Le emergenze sul tavolo dei BBCC

Per produrre cambiamenti culturali stabili nel tempo, per risolvere i nodi strutturali di un sistema prossimo al collasso, qual è quello dei beni culturali siciliani, all’attivissimo assessore servirebbe davvero restare per l’intera legislatura.

Sul tavolo ci sono emergenze, che chi scrive va denunciando da anni, condivise recentemente da Leandro Janni, presidente di Italia Nostra: quelle di un capitale umano in forze al Dipartimento BBCCIS ridotto a «riserva indiana», mentre sono prossimi massicci pensionamenti, senza che sia previsto un turnover e impera il disprezzo delle competenze specialistiche, a vantaggio di figure generiche che indeboliscono o persino contraddicono la mission di ciascun istituto, come un geologo a capo di un’Unità beni archeologici di una Soprintendenza o di un architetto alla direzione di un Parco archeologico; la cronica mancanza di risorse finanziarie; l’indebolimento dell’azione di tutela per un’incongrua riorganizzazione delle Soprintendenze; le irrazionali misure di contrazione della spesa, lasciate in eredità dal precedente Governo, che non intaccano gli sprechi ma paralizzano gli uffici, già a corto di strumentazioni, mezzi tecnologici, connessioni internet veloci; la faccenda dei custodi senza indennità da anni che denunciano siti al buio; il fallimentare impiego dei fondi europei; la mancata revisione e aggiornamento normativo di settore; una politica dei prestiti delle opere d’arte che più che una regione autonoma fa della Sicilia una colonia dei musei internazionali; la necessità di accelerare e completare la pianificazione paesaggistica; il superamento della condizione per cui i due assessorati Beni culturali e Turismo continuano ad operare come due monadi non comunicanti; l’implementazione e sistematizzazione delle tre banche dati esistenti, perché la conoscenza della consistenza del patrimonio è premessa di qualsiasi azione, dal suo studio alla conservazione alla valorizzazione. E l’elenco è ancora per difetto.

 

Autore

  • Silvia Mazza

    Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e dal compianto Folco Quilici nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Dal 2019 collabora col MART di Rovereto e dallo stesso anno ha iniziato a scrivere per il quotidiano “La Sicilia”. Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale. Ha collaborato con il Centro regionale per la progettazione e il restauro di Palermo al progetto europeo “Noè” (Carta tematica di rischio vulcanico della Regione Sicilia) e alla “Carta del rischio del patrimonio culturale”. Autrice di saggi, in particolare, sull’arte e l’architettura medievale, e sulla scultura dal Rinascimento al Barocco, ha partecipato a convegni su temi d’arte, sul recupero e la ridestinazione del patrimonio architettonico-urbanistico e ideato conferenze e dibattiti, organizzati con Legambiente e Italia Nostra, sulle criticità dei beni culturali “a statuto speciale”, di cui è profonda conoscitrice.

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Last modified: 4 Febbraio 2018