Quinta puntata dell’inchiesta sulla Cina e la scena dell’architettura globalizzata. Dai primi programmi di inizio anni Duemila a oggi, come sono cambiati gli immaginari del sogno urbano tra tradizione e innovazione
La drammatica espansione delle metropoli cinesi ha reso necessaria la costruzione di numerose new town, new district o new area. Nel corso degli anni il “new” è stato proposto in diverse immagini, dalla riproduzione delle città storiche europee realizzate nella periferia di Shanghai sino al sempre più ricorrente e “certificato” ricorso ad immaginari green. (Filippo Fiandanese, curatore dell’inchiesta)
Negli ultimi vent’anni la Cina sta vivendo un massiccio processo di urbanizzazione che ha generato un boom edilizio senza precedenti e ambiziosi piani per la costruzione di nuovi distretti e nuove città. Entro una grande varietà di forme di collaborazione tra governo centrale e amministrazioni locali, le nuove aree urbane in costruzione rappresentano, al contempo, lo spazio per affrontare l’attuale accelerazione urbana e quello per sostenere la crescita economica, oltre a rivelarsi, esperienza dopo esperienza, un campo sempre più interessante ove sperimentare nuove architetture e forme di città. Proviamo ad osservare tali esperienze attraverso due inclinazioni che segnano con un certo rilievo le culture del progetto impegnate nella realizzazione del sogno urbano cinese contemporaneo: da un lato, nel richiamo di qualche origine e tradizione, non necessariamente locale; dall’altro, entro la proiezione in un futuro quanto più possibile inedito, sebbene poi spesso ridotto ad un immaginario eco, green, sustainable. Questi due temi sono declinati dal punto di vista del coinvolgimento dei progettisti stranieri, spesso ritenuti capaci di interpretarli (almeno fino a qualche anno fa). Approvata la forma del sogno, il processo esecutivo procede rapidissimo, nella ferma convinzione di raggiungere gli obiettivi prefissati in tempi brevi, risolvere i problemi che si pongono in modo pragmatico, e aumentando quanto più possibile il prodotto interno lordo della città che si va a costruire.
Ieri, contaminare tradizioni
Con l’obiettivo di rinfrescare l’immagine cosmopolita di Shanghai, il programma “One City and Nine Towns” prevede la costruzione di dieci nuove città ispirate a identità nazionali dell’Occidente, in termini di “stile”, ovvero di soluzioni formali, e in termini di organizzazione degli spazi. Per ciascuna città sono stati invitati gruppi di progettisti di fama internazionale: gli inglesi di Atkins per Songjiang; i tedeschi di Albert Speer & Partner per Anting; gli svedesi di Sweco per Luodian; Gregotti Associati International per Pujiang; gli olandesi di Kuiper Compagnons per Gaoqiao. Ognuno di essi è chiamato a giocare con la tradizione, immaginando modelli capaci di combinare culture differenti. Pujiang è la “città italiana” per centomila abitanti, realizzata da Gregotti Associati International, a valle del concorso vinto nel 2001. Qui, la tradizione urbana cinese e italiana perseguono elementi di convergenza attraverso l’invenzione di un principio insediativo a maglia ortogonale, definito da grandi isolati di 300 metri di lato e bassa densità abitativa. Tale principio intreccia la geometria rigorosa della città classica occidentale e il modulo quadrato dell’agrimensura cinese. Ripristina l’uso delle canalizzazioni esistenti per fondare sull’acqua l’organizzazione degli spazi aperti, così come si ritiene che sia tanto in Italia quanto in Cina. Si separano, come da tradizione funzionalista italiana, i diversi livelli della mobilità: il reticolo delle strade principali, la viabilità secondaria che penetra negli isolati, i percorsi pedonali.
Ad osservare oggi Pujiang, notiamo come le migliori intenzioni del progetto si sono spesso malamente scontrate con la realtà. Nella parte nord della città, gli isolati ben progettati, che dovevano restare aperti alla vita pubblica, su modello italiano, sono stati rimpiazzati da aree residenziali recintate con accessi controllati, vere e proprie gated communities su modello di molte città del sud e nord America. La maggior parte degli appartamenti è stata acquistata dalla nuova classe media come investimento immobiliare: una seconda casa dove nessuno abita. Le case vuote, di queste gated communities vuote, aspettano pertanto solo il momento giusto per essere rivendute, sebbene il loro modo di essere abitate è improbabile che cambierà carattere una volta che lo spazio sarà più popolato. A sud, invece, è avvenuto qualcosa di radicalmente differente. Qui, una costruzione della città più affrettata e convenzionale ha fatto sì che i nuovi abitanti, allontanati dalle loro precedenti case per la costruzione del complesso dell’Expo 2010, stiano adattando il nuovo spazio urbano alle proprie esigenze in modo molto informale: per le strade ogni giorno è un nuovo allestimento, un affollarsi poco programmato di mercati e attività di ogni genere.
Il programma “One City and Nine Towns” appartiene ormai a una stagione passata. Se i progettisti “autori” presi dall’estero avevano appeal dieci anni fa, ora invece come progettisti stranieri si entra solo nell’ambito di cooperazioni governative e interuniversitarie.
Oggi, promuovere immaginari ecologici
Così come con la tradizione, si gioca con il futuro.
Inutile ribadire quanto e come l’immaginario urbano cinese sia intriso di visioni avveniristiche e scenari che proiettano l’abitare contemporaneo entro realtà pervase di tecnologie molto sofisticate, sebbene spesso, per lo meno finora, poco testate. Più plausibili gli scenari offerti dalle molte eco-city in costruzione. L’ondata di nuova urbanizzazione ha sviluppato un’innumerevole serie di città “verdi”. Sino-British Eco-city in Dongtan, Sino-Singaporean Tianjin Eco-City e Sino-Germany Eco Park in Qingdao sono solo alcuni progetti di cooperazione internazionale concepiti come progetti manifesto, attraverso i quali promuovere buone pratiche contro il degrado ambientale del Paese.
Ad esempio, il Sino-Germany Eco Park è l’ambizioso progetto urbano di von Gerkan, Marg und Partners (GMP) per la città di Qingdao, sulle sponde del Mar Giallo, nato dall’accordo siglato dalle due nazioni nel luglio 2010, durante la visita di Stato della cancelliera tedesca Angela Merkel. Il masterplan comprende otto quartieri immersi nel verde che si estendono dalle montagne fino alla baia situata a nord-est, su di un’area di 10 kmq. Il progetto s’ispira proprio alle caratteristiche paesaggistiche di Qingdao, riproducendo l’alternanza tra formazioni rocciose e rigogliose zone pianeggianti. Con il supporto della Deutsche Gesellschaft für Nachhaltiges Bauen (società no-profit che certifica l’edilizia sostenibile) e di Transsolar Consultants (firma specializzata in climate engineering), lo studio GMP ha sviluppato una serie di standard e indicatori, puntando ad integrare nel piano una larga quota di energie rinnovabili: eolica, idroelettrica, geotermica e, soprattutto, solare. Il masterplan organizza le giuste distanze tra i quartieri, mescola le funzioni nel rispetto di una buona mixité, varia le tipologie e le densità dell’edificato in modo da garantire un elevato risparmio energetico, ridurre le emissioni di CO2 e favorire l’equilibrio tra usi dei suoli e funzionalità dello spazio urbano.
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Last modified: 20 Ottobre 2017