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Le moschee del XXI secolo

Una volta il profeta Maometto disse che il mondo intero è una moschea. Un fedele musulmano, armato di pie intenzioni, può far apparire dal nulla una moschea quasi ovunque, trasformando in uno spazio sacro una duna del deserto, una sala partenze dell’aeroporto o un marciapiede della città semplicemente fermandosi a pregare. La prima moschea fu la casa in mattoni di fango di Maometto a Medina, dove un portico di rami di palma offriva ombra per la preghiera e i dibattiti teologici. Mentre la giovane religione si diffondeva, gli arabi – e poi gli asiatici e gli africani – svilupparono le loro idee su ciò che rendeva moschea un edificio. Negli ultimi decenni quello spirito innovativo si è affievolito e la maggior parte degli skyline islamici è stata dominata dal progetto composto da cupola e minareto, apparso per la prima volta secoli fa. Oggi le cose stano cambiando. Una nuova generazione di costruttori e architetti musulmani, nonché di non musulmani che progettano per gruppi musulmani, spesso in Europa o in America del Nord, sta aggiornando la moschea del XXI secolo dando vita a una fase del progetto islamico estremamente creativa, ma anche spaccata dalle controversie. Le dispute sulle moschee moderne riecheggiano i dibattiti più grandi che oggi avvengono nel mondo islamico su sessi, potere e, specie nelle comunità di immigrati, ruolo dell’Islam nelle società occidentali. Persino la più semplice delle decisioni di progetto può riflettere questioni cruciali per l’Islam e i suoi seguaci: le donne vanno ammesse nella sala principale della moschea o vanno confinate in zone separate? I minareti sono necessari in Occidente, dove in base alle normative sul rumore sono usati di rado per invitare alla preghiera? Che aspetto deve avere una moschea frequentata da musulmani di zone del mondo diverse? Le più audaci tra le nuove moschee tentano di rispondere a tali domande, ma sono anche efficaci dichiarazioni d’intenti. «L’Islam vuole affermarsi», dice Hasan-Uddin Khan, storico dell’architettura alla Roger Williams University di Rhode Island. «Le nuove moschee dicono: “Esistiamo e vogliamo che si sappia”». Via via che il numero di musulmani europei aumenta – dai dodici milioni di dieci anni fa ai venti milioni di oggi – aumenta anche l’esigenza di moschee. Un rapporto del 2007 del ministero dell’Interno italiano ha scoperto che le moschee nel paese erano passate da 351 a 735 in soli sette anni. Anche in Francia e in Germania il numero delle moschee è esploso. Se le chiese europee restano vuote o vengono convertite in loft e scuole di lusso, i musulmani costruiscono moschee in vecchi locali notturni e supermercati, in ex fabbriche di crauti e farmaci e, ebbene sì, anche nelle chiese abbandonate. Via via che i musulmani diventano più ricchi, sicuri e geograficamente diffusi – quasi un terzo del miliardo e trecentomila totale vive in paesi a maggioranza non musulmana – ormai le moschee non sono semplici monumenti ai governanti di cui portano il nome. Sempre più di frequente simboleggiano la lotta per sposare tradizione e modernità e mettere radici in Occidente. Gli immigrati musulmani di seconda e terza generazione, che hanno sicurezza e denaro per costruire, in pietra e vetro, i simboli della forza crescente dell’Islam in posti come l’Europa, sognano edifici più audaci. Limitarsi a importare l’architettura tradizionale della moschea «non esprime lealtà all’ambiente circostante», dice Zulfiqar Husain, segretario onorario di un’innovativa eco-moschea a Manchester, Inghilterra. La moschea che Husain contribuisce ad amministrare, in un tetro quartiere operaio di Manchester, usa legno rigenerato e pannelli solari sul tetto per alimentare il riscaldamento sotto il pavimento. All’interno, moquette color pesca e televisori al plasma creano l’atmosfera di una ricca casa inglese di periferia, mentre la sala per la preghiera ha intagli ispirati alla dinastia nordafricana Fatimid del X secolo. A Singapore, Forum Architects, gli architetti della moschea Assyafaah, ultimata nel 2004, si rivolgono alla popolazione multiculturale del paese creando uno spazio esteticamente neutro, lucente e futuristico, dove possono sentirsi a loro agio sia i musulmani malesi sia quelli cinesi. L’innovazione fiorisce anche in luoghi improbabili come la Baviera meridionale. Nella città di Penzberg, l’anno scorso il Forum islamico, costruito nel 2005, ha vinto il Wessobrunner Architekturpreis, un premio assegnato ogni cinque anni all’architettura bavarese di rilievo. Semplice edificio in vetro e pietra perlacea, il Forum attira musulmani e non musulmani a entrare dalle due porte che somigliano a un libro aperto. «È un luogo di comunicazione», spiega l’architetto bosniaco Alen Jasarevic. «Ampie finestre e aperture sulla facciata, persino nella sala per la preghiera, invitano i cittadini di Penzberg a conoscere l’Islam e la sua gente». Il delicato minareto, che da lontano sembra di pizzo, è una rappresentazione calligrafica delle parole dell’invito alla preghiera incise su lastre d’acciaio perforato. «Non chiama alla preghiera cinque volte al giorno, ma 24 ore su 24», commenta Jasarevic. «Senza disturbare il vicinato». Le moschee e i loro quartieri, però, non sono sempre così silenziosi. Soprattutto in Europa, le moschee sono diventate l’equivalente architettonico del velo: segni visibili della presenza dell’Islam e quindi siti di tensione tra tradizionalisti musulmani e non musulmani. Un recente rapporto dell’Institute of Race Relations di Londra riferisce di moltissime campagne contro i progetti delle moschee in Europa. Nel 2007, una petizione che chiedeva al governo di abbandonare i piani per la costruzione di una megamoschea su un lotto di sette ettari vicino al sito dei Giochi olimpici del 2012 ha raccolto oltre 275.000 firme. Quello stesso anno, i membri della Lega Nord italiana «hanno benedetto», queste le loro parole, il sito riservato alla moschea di Padova sfilando con un maiale, l’animale ritenuto impuro dal musulmani. Un sondaggio d’opinione olandese del 2004 ha rivelato che le moschee, che negli anni novanta erano state lodate come «arricchimento del paesaggio urbano», erano definite «banali», «brutte» e «imitazioni dozzinali». Un aspetto del progetto della moschea causa più rabbia di tutti gli altri: il minareto. In tutta Europa, i minareti sugli skyline cittadini sono diventati una questione politica. In Olanda Filip Dewinter, leader del partito di destra Vlaams Belang, ha criticato una nuova moschea di Rotterdam perché i suoi minareti erano più alti delle luci dello stadio di calcio della città. «Questi simboli non devono esserci», ha detto a Radio Netherlands Worldwide. Nel 2007 la cancelliera tedesca Angela Merkel ha avvertito che i minareti non devono essere «ostentatamente più alti dei campanili delle chiese». Il dibattito è vivo anche nelle comunità musulmane occidentali. «Spesso gli immigrati musulmani vogliono [un minareto], perché per loro rappresenta la moschea», dice Omar Khalidi, archivista dell’Aga Khan Program for Islamic Architecture del Massachusetts Institute of Technology. «Ma costano molto e, secondo altri, sono un lusso che i musulmani non possono permettersi». Per Paul Böhm, l’architetto tedesco autore della nuova moschea progettata per Colonia, i minareti sono una parte essenziale del disegno di un edificio fiero e genuino. «Secondo noi, questa struttura dovrebbe manifestare il suo intento e i minareti possono contribuire a farlo», dice. «Negli ultimi 40 o 50 anni, i musulmani della Germania si sono nascosti in seminterrati e in zone industriali [abbandonate] per pregare. [Molti tedeschi] non li hanno mai riconosciuti come parte della società. Dargli una struttura che li elevi allo stesso status [di altri gruppi religiosi] può aiutarci a capirli e ad accettarli» (cfr. Voglio togliere i musulmani dai c o r t i l i, in «Il Magazine dell’Architettura» n. 1, settembre 2007). Alcuni abitanti di Colonia, però, non sono d’accordo. I membri del gruppo di destra Pro Köln hanno contestato la moschea da venti milioni di dollari perché i due minareti di 51 metri rovineranno lo s k y l i n e, ora dominato dalla famosa cattedrale gotica. I lavori procedono e gli anziani musulmani locali sperano che, una volta lì, la gente curiosi nella biblioteca, visiti la galleria d’arte o spenda nel centro commerciale, che Böhm immagina come «un moderno suk con l’atmosfera di quello tradizionale». Come molti altri architetti che disegnano moschee, Böhm si è ritrovato alle prese con il problema dell’accesso consentito alle donne nelle parti più importanti dell’edificio. Le moschee tradizionali tendono a nascondere le donne con pareti o tende. Negli edifici più nuovi e progressisti, le zone riservate alla preghiera per gli uomini e le donne sono spesso separate, ma uguali. Dopo tante discussioni, il comitato della moschea di Colonia ha accettato che le donne e i gli uomini preghino nella stessa sala, ma con le donne confinate in un balcone. Il progetto di Böhm è così flessibile che un giorno i due sessi potrebbero ritrovarsi sullo stesso piano. «Sono un architetto, non un politico», dice. «Ma ho aggiunto alcuni dettagli – stesse porte per uomini e donne – che lasciano spazio a evoluzioni. È un processo che richiederà tempo, proprio come nella chiesa cattolica. Mio padre ricordava le donne sedute al piano superiore, in chiesa, e gli uomini al pianterreno». Non sorprende che a spingere i maggiori cambiamenti siano le comunità di immigrati musulmani. «La moschea occidentale sta rapidamente diventando un luogo di contestazione tra i musulmani che sostengono la moschea tradizionale e quelli che vogliono far ottenere uno spazio adeguato alle donne», dice Khalidi del MIT. «La seconda generazione chiede, e spesso ottiene, quello spazio». Lo storico dell’architettura Uddin Khan calcola che, fino a non molto tempo fa, le moschee dell’America del Nord concedevano solo il 15 per cento dello spazio alle donne. Negli ultimi cinque anni, lo spazio a cui le donne hanno accesso è arrivato almeno al 50 per cento. La nuova architettura e la rottura con le tradizioni cominciano a influenzare anche i progettisti dei paesi musulmani. A volte il cambiamento è un ritorno alle radici della religione. Quando ha progettato l’ultramoderna moschea Sakirin di Istanbul, l’architetta Zeynep Fadillioglu ha preso spunto dalla sua esperienza di preghiera nelle moschee. «Al tempo del profeta, uomini e donne pregavano accanto», dice. «Ultimamente, con l’ascesa dell’Islam politico ovunque, le zone delle donne sono state coperte e recintate. Sono stata in moschee così e mi sono sentita molto a disagio». La zona delle donne di Fadillioglu è un ampio balcone che si affaccia sulla sala centrale, separato solo da inferriate incrociate. Una sensibilità ariosa e sfarzosa pervade l’edificio. Le strutture per l’abluzione che precede la preghiera hanno armadietti di legno biondo e plexiglas. Nella sala principale è appeso un lampadario in bronzo da cui pendono gocce di vetro soffiato, allusione visiva al versetto del Corano secondo cui la luce di Allah dovrebbe cadere sui credenti come pioggia. Il mihrab, che indica la direzione della preghiera, è a forma di tulipano ed è turchese, «un varco che conduce a Dio», dice Fadillioglu. Dio è celebrato in modo diverso nella moschea galleggiante in costruzione di fronte alla costa di Dubai. Progettata dallo studio olandese Waterstudio. NL, il sensazionale edificio che verrà inaugurato nel 2011 assomiglia a un sottomarino futuristico che sorge dal Golfo Persico con minareti talmente bassi e sottili da sembrare periscopi. Costruita con moduli galleggianti di calcestruzzo e resina, verrà raffreddata dall’acqua marina pompata attraverso il tetto, le pareti e i pavimenti. Tornando in Europa, un gruppo di giovani architetti olandesi guidati da Ergün Erkoçu volevano che l’idea della loro moschea Polder fosse altrettanto elegante. Usando il concetto olandese della ricerca del consenso, il loro progetto non prevede minareti ma mulini a vento. All’interno hanno pensato allo spazio per l’hammam (il bagno turco) e una schiera di negozi. La moschea non sarebbe mai stata realizzata, ma doveva solo provocare il dibattito. Missione compiuta: gli anziani hanno detto sprezzanti che non è abbastanza tradizionale e i musulmani olandesi, ansiosi di veder espandere il ruolo della moschea al di là della preghiera, l’hanno applaudita. Il progetto ha anche fruttato a Erkoçu l’incarico per la moschea An-Nasr di Rotterdam, dove l’architetto sta alterando la tradizione. Il minareto di An-Nasr sarà di vetro trasparente e slanciato e non dominerà lo skyline. L’invito alla preghiera sarà diffuso dalle luci, che pulseranno al ritmo della voce del muezzin. Quando la moschea sarà finita, Erkoçu spera che i cittadini di Rotterdam vedranno l’invito alla preghiera nel cielo. I musulmani guarderanno in alto e, in qualunque parte della città si trovino, volgeranno il pensiero alla preghiera.

Rebuilding the Faith, in TIME, New York, 2 aprile 2009

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Last modified: 18 Luglio 2015