Come la copia del padiglione dell’Esprit Nouveau di Le Corbusier e Pierre Jeanneret è divenuta l’originale e museo di se stesso, nella mostra curata da Maria Beatrice Bettazzi, Jacopo Gresleri e Paolo Lipparini
BOLOGNA. Agli architetti e agli amanti dell’architettura e dell’arte moderna che si trovassero a transitare in città nella pausa natalizia, consigliamo una deviazione dal centro storico per raggiungere, all’ingresso del Fiera District, un piccolo spazio unico al mondo, snodo fondamentale nella concezione dell’architettura per l’abitare. Si tratta di una copia – è vero – che ha però meritato un restauro filologico (2017) perchè è più originale dell’originale come oggi dimostra questa esposizione, allestita con documenti di eccezionale interesse tratti dall’Archivio storico dell’Università di Bologna (sezione architettura), dal fondo privato di Giuliano Gresleri e dalla Fondation Le Corbusier di Parigi, a comporre un catalogo di prestigio: “PHOENIX. Il Padiglione de l’Esprit Nouveau tra ricostruzione e restauro”.
L’araba fenice
Il padiglione è una fenice capace di risorgere più volte dalle proprie ceneri. La prima volta accadde, in fase eroica, nel 1977, quando Glauco e Giuliano Gresleri con José Oubrerie, completarono la ricostruzione dell’originale progettato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret che solo per pochi mesi (dal luglio all’ottobre 1925) fece mostra di sé a Parigi, nell’Exposition internationale des Arts décoratifs et industriels modernes, con un modello, per altro, lasciato in molte parti incompiuto, come ricorda Maria Beatrice Bettazzi, curatrice con Jacopo Gresleri e Paolo Lipparini dell’attuale mostra. Rispetto all’inaugurazione dell’Esposizione, dell’aprile 1925, il padiglione giungeva in ritardo a luglio, ed il suo piano superiore non fu mai reso accessibile. Anche la copertura del diorama, con l’annuncio del Plan Voisin per Parigi e della Città da tre milioni di abitanti, che l’attuale mostra bolognese rinverdisce in tutto il loro splendore prospettico, era stata realizzata del tutto provvisionalmente, con semplici teli. La ricostruzione del 1977 non fu insomma un mero esercizio di copia calligrafica ma, al contrario, una complessa operazione di ricerca, rispetto ad un originale mai completato, andato perduto e comunque realizzato sulla base di un progetto continuamente intersecato da nuove sperimentazioni, schizzi, appunti e disegni, a rendere necessaria una raffinata collatio, anche alla luce del non detto, della conoscenza della consueta pratica di studio. Il catalogo e la mostra rendono ragione di questo processo, nel bell’allestimento di Jacopo Gresleri.
La seconda resurrezione, questo padiglione-Fenice, l’ha vista nel 2017, con il restauro sponsorizzato dalla Regione Emilia-Romagna (nella cui proprietà è l’edificio) per 200.000 euro a ripristinare i colori, l’impermeabilizzazione della copertura ed i vetri dei serramenti, e persino gli arredi che Remo Muratori, forte della sua lunga esperienza in Simon a fianco di Dino Gavina, ha ripreso e restaurato.
Anche rispetto al design d’interni la ricostruzione del padiglione dell’Esprit Nouveau era stata, infatti, un’esperienza miliare nel design internazionale. L’arredo originale venne infatti riproposto grazie ad una collaborazione diretta tra Charlotte Perriand, autrice di gran parte dell’équipement d’intérieur de l’habitation che usciva dall’atelier lecorbusieriano di rue de Sèvres a Parigi, e Filippo Alison che all’epoca lavorava per Cassina. Non si trattò di un riallestimento né di un atto unico: i casiers del padiglione, sostituito il rumoroso serramento metallico dell’originale sperimentazione, divennero per la prima volta un prodotto di mercato.
La misura del nostro fallimento
Così, mentre la copia è divenuta l’originale e, fino al 13 gennaio, museo di sé stesso, il problema del padiglione resta l’orizzonte di lungo periodo, nell’auspicio che si possa interrompere il ciclico (e costoso) ricorrere di periodici declini e nuove resurrezioni che ha contraddistinto il suo primo quarantennio. Non collaborano i costi di gestione (20.000 euro annui più personale), amplificati nei mesi invernali dai tentativi di riscaldare un luogo che a questo si dimostra piuttosto refrattario. L’aver trasformato una fase effimera, in un monito e in un luogo di memoria, presenta inevitabilmente il conto. Ben più salato della bolletta del riscaldamento, è però quello che misura il nostro fallimento. Divenuto permanente, il padiglione ci continua a sbattere in faccia una spazialità che l’utopia assegnava all’abitazione di massa (con tanto di giardini integrati negli appartamenti, ricchezza di affacci, vedute e doppi volumi) poi del tutto involuta, nonostante Classe A, A+ ed efficientamento energetico. I materiali e le sezioni murarie del padiglione corrispondevano anzi all’impegno per un aggiornamento nei componenti del processo edilizio e un loro adeguamento alla nuova produzione industriale, in una logica scientifica che ancora evolveva per tentativi e non per simulazioni.
Sul lungo periodo, la vitalità del padiglione è affidata ad una convenzione tra Regione Emilia-Romagna e MAMBO (Museo d’Arte Moderna di Bologna) rispetto alla cui collezione e mostre lo spazio si rivela consonante. Anche per la durata di questa mostra la visita guidata è garantita dal Dipartimento educativo del museo.
Buona visita, dunque. E chi ha freddo si tenga il cappotto!
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PHOENIX. Il Padiglione de l’Esprit Nouveau tra ricostruzione e restauro
Fino al 13 Gennaio
Materiali dai seguenti fondi:
Archivio Storico dell’Università di Bologna – Sezione Architettura
Archivio Privato di Giuliano Gresleri
Fondation Le Corbusier
Allestimento e cura:
Maria Beatrice Bettazzi
Jacopo Gresleri
Paolo Lipparini
Con l’alta consulenza di Giuliano Gresleri
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allestimenti , bologna , le corbusier , mostre , restauro
Last modified: 19 Dicembre 2018