Un concetto geo-politico si adatta alla cultura progettuale. Premi, ruoli e riconoscimenti, in Italia e nel mondo, sono gli effetti di una transizione che reinterpreta la tradizione
La Cina non solo avanza, ma orienta sempre più la riflessione dell’architettura a livello internazionale. Gli architetti cinesi conquistano riconoscimenti, primati, apprezzamenti e ruoli di prestigio oltre i confini nazionali, contribuendo a ridefinire criteri, sensibilità e direzioni del progetto contemporaneo su scala globale.
Tre segnali. Liu Jiakun vince il Pritzker Prize 2025. Wang Shu (Pritzker Prize 2012) e Lu Wenyu, Amateur Architecture Studio, saranno i primi curatori cinesi della Biennale Architettura di Venezia (2027, 20° edizione). Ma Yansong, Mad Architects, è il guest editor di “Domus” 2026 (una prima assoluta, il più giovane di sempre), ma anche uno dei pochi studi cinesi che ha realizzato opere in Asia, America e in Europa (e si aggiudica il Dezeen Award 2025). Ciò che emerge non è certo la Cina della grandezza e della magniloquenza, dell’internazionalità e del globalismo. È invece una cultura profondamente legata alla memoria dei luoghi, alla tradizione e senso di comunità, quella che oggi si impone come creatrice di immaginari, in un cortocircuito paradossale, sul contesto internazionale. Ed è proprio facendo leva su questo tipo di soft power, al di là delle questioni di geo-politica, che rende la Cina sempre più “cool”.
Osservando l’evoluzione architettonica (professionale e progettuale) cinese negli ultimi decenni si assiste, infatti, ad una progressiva transizione, che non si misura tanto nella iconicità degli oggetti o nella spettacolarità delle forme, quanto piuttosto nello spostamento dell’attenzione verso la tutela dei tessuti storici sfuggiti alla demolizione indiscriminata, inedite pratiche di restauro urbano e valorizzazione del patrimonio esistente, il miglioramento della qualità degli spazi della vita urbana, la critica al gigantismo ancora imperante, la consapevolezza del bisogno di ritrovare un’identità nazionale, esplorare una via alternativa, capace di promuovere un reale processo di modernizzazione dell’urbano. Emergono così architetture che si aprono alla sperimentazione, senza inseguire facili formalismi; che ragionano attorno alla propria condizione culturale, senza il bisogno di riferirsi necessariamente alle teorie e pratiche occidentali.
Principi universali e continuità culturale
Alla base di questo cambiamento c’è la capacità di progettisti e studi – di piccole e medie dimensioni, realtà indipendenti, molto distanti dalle grandi strutture governative degli istituti di progettazione statale – capaci di costruire un percorso solido, strutturato e al tempo stesso visionario e capace di ispirare. Molti di loro hanno una formazione ibrida, tra cultura cinese e internazionale. Alcuni si sono formati nelle università straniere, altri hanno maturato esperienze lavorative presso studi esteri per poi fare ritorno in patria, portandosi dietro un bagaglio di conoscenze e di ricerche su questioni attualissime e che proprio qui trovano la forza di concretizzarsi. Nonostante l’eterogeneità di programmi, soluzioni, scale e contesti d’intervento, è possibile rintracciare alcuni elementi di continuità nella pratica di questi studi, che affondano nella tradizione architettonica cinese.
Rispetto all’architettura occidentale, la cultura architettonica cinese conserva una sorprendente continuità culturale lungo la sua evoluzione storica, grazie a un sistema rimasto sostanzialmente immutato e basato su una serie di principi universali (come l’uso di sistemi modulari prefabbricati, la dicotomia pieno e vuoto, il dispositivo spaziale del giardino, un approccio frattale che collega macro e micro, architettura e città, giardino e Shan Shui). Questa serie di principi ha consentito l’adattamento delle forme tipologiche in modo elastico e svincolato dalle tecnologie costruttive o dalle contingenze storiche. Nella pratica contemporanea emerge chiara la volontà di combinare la ricerca dell’innovazione, in termini tecnologici ed espressivi, con la rielaborazione di immaginari simbolici e valori della propria tradizione culturale. Coniugando questa duplice inclinazione, il lavoro di questi progettisti dimostra un’inedita versatilità, che sta configurando in modo rilevante l’identità dell’architettura cinese.
Si tratta, innanzitutto, di progetti che esprimono qualità nella accuratezza dei dettagli, nell’espressione poetica dei materiali e nella sofisticata rielaborazione in chiave contemporanea della tradizione costruttiva locale. Il senso del luogo e il recupero dei materiali di scarto di Wang Shu, l’invito ad integrare strategie low-tech di Liu Jiakun spingono ad esplorare a fondo le possibilità delle tecniche costruttive locali e l’espressività dei materiali poveri, facilmente assemblabili (mattoni, pietra locale, legno, calcestruzzo impresso con texture diverse). Liberi dalla questione della “forma nazionale”, si scopre così un rinnovato interesse per la cultura tettonica, come approccio per eludere facili formalismi e strumento per indagare soluzioni architettoniche specifiche per ciascun luogo. Ciò è correlato anche alla crescente sensibilità verso la dimensione etica, ecologica e sociale del progetto. Molti architetti utilizzano, poi, il trattamento materico delle superfici per raggiungere inedite qualità espressive e una squisita finezza estetica.
Spazi collettivi e paesaggi dell’incertezza
A fianco di architetture che ripropongono un linguaggio moderno o la reinterpretazione tecnologica dei sistemi costruttivi vernacolari, nuove istanze sperimentano una rivoluzione formale attraverso le nuove tecnologie digitali, il design parametrico e la stampa 3d. Ma Yansong (Mad Architects), Philip Yuan (Archi-Union Architects), Song Gang (Atelier cnS) e Zhang Lei (AZL Architects) sono tra gli esponenti più rappresentativi in questo ambito. L’innovazione digitale non consente solo di creare forme complesse, fuori dall’ordinario, ma introduce un significativo cambiamento nella cultura architettonica e nel processo compositivo e costruttivo.
Molti progetti ricercano, inoltre, la qualità nella declinazione in chiave contemporanea dello spazio a corte, sperimentando un’idea diversa di spazio pubblico. L’articolazione del “confine” tra pubblico e privato, la ridefinizione della relazione tra spazi pubblici e spazi privati mediante la commistione di funzioni e utenti diversi, l’introduzione di nuovi spazi di coesione per la comunità all’interno una più ampia struttura urbana, contribuiscono a rendere più ambigua la distinzione tra lo spazio pubblico della strada, della città e lo spazio privato della corte.
Infine, molti progetti esprimono qualità nella sofisticata rielaborazione del giardino tradizionale in un nuovo paesaggio artificiale strettamente legato alla specificità del sito e all’esperienza spaziale. Sono progetti che accettano l’incertezza e il deteriorarsi nel tempo di materiali, forme, usi, puntando piuttosto sulla definizione di una nuova logica insediativa, un’idea di spazio, un nuovo rapporto tra architettura e natura.
In conclusione, la ricerca di una nuova relazione tra sistema costruttivo dell’architettura e dimensione etica del progetto, tra pubblico e privato, tra spazi interni e spazi aperti evidenzia quanto il tema della continuità tra progetto architettonico e urbano rimanga centrale nella pratica contemporanea.
Immagine di copertina: Mad, Fenix Museum of Migration, Rotterdam, 2025 (dal sito web dello studio)





















