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Caterina PagliaraWritten by: Città e Territorio

Battersea Power Station, is the power on?

Battersea Power Station, is the power on?

Dopo quasi 40 anni si conclude, tra poche luci e molte ombre, uno dei più importanti interventi di rigenerazione urbana a Londra

 

LONDRA. La rifunzionalizzazione di Battersea Power Station esemplifica la storia della finanza immobiliare londinese proiettata su una scena globale.

 

Dopo la dismissione, una serie di flop…

Il primo fu John Broome, roboante immobiliarista allora presidente di Alton Towers, che intendeva trasformare Battersea Power Station, fuori funzione dal 1983, in una Disneyland sul Tamigi, un parco a tema su modello di quelli statunitensi. Il progetto incontra il pieno supporto della prima ministra britannica Margaret Tatcher, e Broome acquista il sito nel 1987 per 1,5 milioni di sterline, iniziando a rimuovere la caldaia e l’impianto di generazione, la copertura, l’amianto. Con la spirale dei costi fuori controllo, l’opera si ferma nel 1989.

Venne il turno di Victor Hwang, delfino del colosso immobiliare Parkview International con sede ad Hong Kong, che acquisisce il sito nel 1993 per 10 milioni di sterline, con un programma di uso misto, residenziale, commerciale e intrattenimento, poi continuamente rivisto lungo 13 anni, incluse le proposte di Ron Arad Associates nel 2004 per un hotel di lusso in cima alla centrale elettrica e il piano del 2005 di Grimshaw Architects, concretamente mai implementate.

Il debito di Hwang per 400 milioni di sterline viene rilevato nel 2006 dagli investitori irlandesi di Treasury holdings, nel pieno della bolla speculativa della tigre celtica, con la promessa: “non avviamo progetti che non portiamo a compimento”. Non realizzarono nulla. Il 2008 schiantò la finanza per come il mondo l’aveva conosciuta. Nel 2011, viene ufficialmente annunciato che lo schema d’investimento immobiliare per Battersea era crollato, con il debito richiamato dai suoi finanziatori e creditori, mettendo il sito in amministrazione controllata.

 

… ma con i malesi è la volta buona

In anni di crescita esponenziale e nella sua auge olimpica, non tardarono a scommettere su Londra e sul “Grade II* listed” (alto vincolo di tutela secondo la classificazione britannica) landmark londinese, il consorzio di azionisti malesi di SP Setia, Sime Darby Property, PNB (una delle più grandi società di gestione patrimoniale in Malesia) e EPF (il principale fondo di risparmio pensionistico malese) per 750 milioni di sterline. La neo costituita BPSDC (Battersea Power Station Development Company) assegna la progettazione dell’erculea opera a WilkinsonEyre, pragmatico e solido studio con sedi a Londra, Hong Kong, Sidney e un portfolio internazionale audace di progetti per la cultura, sport e tempo libero, infrastrutture e pianificazione su larga scala.

Battersea Power Station diventa così la chiave di volta di un progetto di rigenerazione da 9 miliardi di sterline, in cui i circa 17 ettari del sito vengono attentamente monetizzati con una scaltra articolazione in blocchi residenziali e uffici, assieme a 250 negozi, caffè, ristoranti, un teatro, un hotel, serviti dal prolungamento di nuova apertura della Linea Nord della metropolitana (con le due stazioni di Nine Elms e Battersea inaugurate a settembre 2021). Il terzo polo strategico di un triangolo del commercio londinese, assieme a Westfield West e Westfield Stratford.

Il piano guida è scandito in otto fasi, coinvolgendo architetti quali SimpsonHaugh and Partners e De Rijke Marsh Morgan (dRMM) nel Circus West Village (fase 1), WilkinsonEyre nella Battersea Power Station (fase 2), Foster + Partners e Gehry Partners in The Electric Boulevard, Battersea Roof Gardens e Prospect Place (fase 3; quest’ultimo – completato in estate – è il primo intervento residenziale firmato da Frank Gehry a Londra). Le aree circostanti di ex depositi di carbone e binari ferroviari di raccordo abbandonati sono riconfigurate con 8 ettari di spazi pubblici e un parco. 25.000 persone vivranno e lavoreranno qui quando lo sviluppo sarà completo.

 

Alta gamma in tempi di vacche magre

Dopo un cantiere durato 8 anni, le sale della centrale elettrica, prima occupate dalle vecchie turbine, hanno riaperto al pubblico in questo mese di ottobre, riconvertite a spazi commerciali di alta gamma, nel pieno di una crisi energetica globale, di un crollo di leadership senza precedenti nella storia politica britannica, con lo sprofondamento della sterlina, il dirompente impatto di Brexit sulle catene di fornitura, l’inflazione e il rincaro del costo della vita più grave da 42 anni.

Non sorprende che voci critiche si sollevino dal ricostituito fronte laburista del Wandsworth Council per un’assegnazione minima all’offerta di alloggi a prezzi accessibili (affitto sociale, affitto a prezzi calmierati, proprietà condivisa): solo 386 unità e ancora non realizzate, per coloro i cui bisogni non trovano spazio nel libero mercato, quando invece gli schemi vigenti ai tempi in cui la pratica fu presentata agli uffici municipali (nel 2010) avrebbero dovuto garantire il 50%, poi ridotto dal Wandsworth Council al 15% e, infine, ad appena il 9% dopo la negoziazione con gli investitori, pur di agevolare la fattibilità economica dell’operazione (The Guardian, Oliver Wainwright, 5 ottobre 2022).

 

La visita all’ex centrale elettrica di Giles Gilbert Scott

Nella Boiler House i due atri d’ingresso accolgono i visitatori in arrivo dai lati nord e sud con caratteristici lucernari che permettono di ammirare le ciminiere da sotto. Ai piani superiori Apple acquisisce 6 piani di uffici per mille dipendenti, grazie a uno dei più lucrativi accordi di leasing a Londra degli ultimi anni. La struttura in ferro avvolta da un involucro di mattoni era gravemente compromessa da anni di abbandono. Interventi di consolidamento includono strutture reticolari che supportano la facciata originaria dell’ingresso sud, una nuova copertura, il restauro delle murature danneggiate con l’impiego di 1,8 milioni di mattoni, approvvigionati presso Northcot Bricks in Gloucestershire e Blockleys in Shropshire, fornitori della fabbrica originaria.

Nelle Switch House West e Switch House East, ai due lati dell’edificio vengono arrangiati appartamenti e nidificate sull’esclusivo tetto giardino sopra la Boiler House 18 ville da 8 milioni di sterline ciascuna, per un totale di 254 unità abitative.

Risalendo per 190 metri dentro una delle quattro bianche ciminiere, interamente ricostruite dal 2014 al 2017 usando tecniche costruttive compatibili con l’originale, l’ascensore panoramico Lift 109 (a pagamento) garantisce viste mozzafiato su una landa di grattacieli in costruzione.

Il ventre della centrale, con le sue due anime, i suoi due registri, è una perfetta rappresentazione della società britannica, dei suoi privilegi e dei suoi limiti.

La Turbin Hall A rinasce, morbidamente e sapientemente inondata di luce, in un elegante e sereno atrio commerciale che vede preservati o scrupolosamente ripristinati gli apparati decorativi anni 30. I ballatoi e le esili passerelle sono dotati di balaustre in metallo stilizzate con motivi a greca ispirati da un fantasticare sull’identità visiva Art Deco, mentre gli ingressi ai lussuosi negozi sono serialmente incorniciati da opulenti portali bronzei tra i tenui rivestimenti ceramici scalettati delle paraste. Un’ampia finestratura lascia intravedere la Control Room A, con la sua distesa di manopole e spie luminose e il pregiato soffitto in vetro decorato, doviziosamente restaurata, ma accessibile solo per eventi privati. La visita potrebbe finire qui.

Turbin Hall B è un’immediata delusione. Senza l’impatto creativo e trasformativo della riqualificazione di un altro capolavoro di Sir Giles Gilbert Scott, quella che diventerà per tutti la Tate Modern grazie alla mano di Herzog & de Meuron; senza la riconquista d’identità industriale di un Lingotto; senza il fascino sdolcinato e rassicurante di un genuino centro commerciale; senza alcun riferimento a decadi d’intreccio con la cultura pop britannica. Anni in cui le ciminiere sbuffanti di fumo o i lacerti murari abbandonati erano oggetto di aspettative e provocazioni per qualcosa di autenticamente grande, di cui essere fieri come oggi alla vista della Tate Modern: proiettandovi speranze e riscatto.

 

Dove sono il passato industriale e la cultura?

L’approccio non preserva l’unità di visione e l’integrità della possente spazialità della Turbin Hall B, per quanto i dettagli e rivestimenti originari fossero ormai da tempo andati perduti o necessitassero di sostituzioni. La percezione di un passato industriale è strappata via dalla durezza e dall’anonimato del progetto d’interni, comprensibile solo con l’idea che dettagli minimali riflettano l’immagine più essenziale e scarna dell’ampliamento anni 50, quando venne realizzato il raddoppio di Battersea.

La Control Room B è qui trasformata in un cocktail bar che ci trasporta nell’estetica retrofuturistica di una scena steam punk. Per la fascia di più ampio consumo, congestione di passerelle, ponti, scale mobili goffamente arrangiate in uno spazio di strutture metalliche e pannellature grige e nere; dettagli più vicini a quelli dell’architettura per infrastrutture, aeroporti e centri commerciali che a una rinascita del patrimonio di archeologia industriale. La relazione tattile e psicologica tra il visitatore e l’involucro scabro e martoriato dell’edificio storico è interrotta, affiorante solo in alcuni sopravvissuti lacerti sostenuti da strutture metalliche all’ingresso, come se un ingombrante parassita si fosse insediato nell’organismo ospitante.

Non si ha percezione o memoria di quali fossero i flussi, le attività che qui avevano luogo. Non si sa dove si è, perché potrebbe essere ovunque nel mondo. Non si sa che ora del giorno sia, poiché il tetto è privo di aperture verso il cielo. Una scatola luminosa con pareti a schermo incombe minacciosa, e pannelli pubblicitari luminosi lampeggianti accentuano il disagio visivo.

Senso, anche, di profonda assenza per la sola cosa che poteva rendere questo colosso nuovamente vivo e pulsante: un solido programma culturale, una visione limpida della vitalità demografica che questa parte di città poteva attirare, invece di sommarsi alla selva di appartamenti senz’anima e seconde case per global connoisseurs che già dilaga poco distante a Nine Elms o ai department stores in crisi di cui Londra è piena.

 

Un’operazione di successo, di cui non andare orgogliosi

Il grado di complessità e la scala erano unici. Battersea è senza dubbio un’operazione urbanistica e architettonica difficilissima e di successo. Di cui non andare orgogliosi. È la vittoria del mercato immobiliare speculativo sui valori di urbanità, dell’efficacia del processo sui fini, della segmentazione produttivista sul senso di comunità e sull’identità.

Immagine di copertina: © S R Hassall

 

 

Autore

  • Caterina Pagliara

    Architetta e giornalista pubblicista, vive e lavora in Regno Unito dove svolge attività professionale e di consulenza nel campo dell’edilizia residenziale e dello sviluppo immobiliare. Dopo la laurea, consegue un dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica presso il Politecnico di Torino. Interessata agli elementi strategici e managariali della pratica di architettura, consegue un Master of Business Administration. Ha collaborato con istituti universitari per attività di docenza, tutoraggio di workshop internazionali di progettazione architettonica e come referente di ricerca storica su progetti urbani strategici, in Italia e all’estero. Coltiva la passione per la scrittura, i viaggi, la tutela ambientale e il giornalismo d'inchiesta. Collabora con «Il Giornale dell’Architettura» e «Abitare»

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Last modified: 26 Ottobre 2022