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Emma TagliacolloWritten by: Patrimonio

Colosseo: tecno arena su idee sotterranee

Colosseo: tecno arena su idee sotterranee
Ritorna l’ipotesi di realizzare un pavimento per l’utilizzo come teatro e spazio pubblico. Ma ci sono dubbi su una gara gestita da Invitalia senza alcun dibattito culturale o disciplinare

 

ROMA. È probabile che qualcuno dopo aver visto Il gladiatore, film del 2000 diretto da Ridley Scott, si sia chiesto perché non sfruttare il Colosseo al meglio delle sue potenzialità. Perché non renderlo una scena per spettacoli, invece di lasciarlo monumento di se stesso? Il cinema, si sa, permette di sognare ad occhi aperti…

Per poter utilizzare il Colosseo come teatro, come arena o come nuovo spazio pubblico è però necessario intervenire al suo interno, realizzando un pavimento che ricostituisca l’arena, un pavimento fruibile che allo stesso tempo copra e protegga i sotterranei dell’anfiteatro. Non è un’idea nuova, bensì ciclica nel tempo: è un progetto che ha sua storia e che oggi fa nuovamente discutere.

 

Breve cronistoria dal 1895 ai giorni nostri

Una prima proposta risale addirittura al 1895. Ne è promotore l’Ufficio regionale per la Conservazione dei monumenti di Roma, grazie all’ingegnere Domenico Marchetti che presenta l’iniziativa al ministro dell’Istruzione pubblica. In quel momento parte dei sotterranei erano visibili per uno scavo ed erano parzialmente immersi nelle acque, mentre una porzione restava ancora da scavare.

Il governatore Francesco Boncompagni Ludovisi fu il secondo proponente, negli anni trenta del Novecento. In quegli anni Alberto Terenzio, soprintendente ai Monumenti di Roma, scavò integralmente gli ipogei, ma la copertura che si stava pensando di realizzare per godere appieno del monumento a sostituzione di quella in legno – nulla di meno che in cemento armato – non venne mai realizzata, sebbene potesse essere utile a fini propagandistici.

Il progetto di completamento ritornò come costruzione effimera in due occasioni: per il Giubileo del 1950, come copertura leggera poi rimossa, e in occasione della mostra “L’economia tra le due guerre” (1985) in cui vennero ricostruite parte di un settore della cavea e una porzione dell’arena.

E oggi? Chi visita il Colosseo può camminare su una parziale ricostruzione dell’arena, in legno, che risale al 2000, realizzata con fondi della Banca di Roma con la direzione della Soprintendenza (Rossella Rea, archeologa e già direttrice del Colosseo, e Piero Meogrossi, architetto, già direttore della Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma dell’Anfiteatro Flavio). L’arena è fruibile parzialmente e in parte protegge i sotterranei, struttura fragile e unica nel suo genere. È indubbio che gli spazi ipogei debbano essere preservati.

Nel 2014 l’archeologo Daniele Manacorda propone l’idea di una copertura per l’arena del Colosseo, idea che viene rilanciata nel 2014 in un tweet dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Da qui parte un dibattito che vede favorevoli Andrea Carandini e Adriano La Regina e dubbiosi Salvatore Settis e Tomaso Montanari. Ci s’interroga sul valore, anche estetico, di un’integrazione e sulla funzione del Colosseo: museo di se stesso o altro?

 

Progettazione, comunicazione, comunità

Recentemente l’idea di una copertura per l’arena del Colosseo è tornata in auge. Sarà per le ricostruzioni virtuali a cui ormai ci siamo abituati in tempo di pandemia – scambiando reale e virtuale -, sarà per la necessità di declinare diversamente lo spazio pubblico. Fatto sta che in tempi rapidi e con grande efficientismo si è passati ai fatti, con una gara per l’affidamento dei servizi di progettazione gestita da Invitalia, che ha assunto il ruolo di centrale di committenza per il Ministero per i Beni e le attività culturali – Parco archeologico del Colosseo, con lo scopo di realizzare “una nuova arena tecnologica per il Colosseo” (dicembre 2020). È questo un intervento promosso dal ministro Franceschini che proclama: “La ricostruzione dell’arena del Colosseo è una grande idea, che ha fatto il giro del mondo. Sarà un grande intervento tecnologico che offrirà la possibilità ai visitatori di vedere non soltanto, come oggi, i sotterranei, ma di contemplare la bellezza del Colosseo dal centro dell’arena”.

Eppure questa notizia quasi non ha avuto risonanza sulla stampa di settore, non ci sono stati dibattiti di tipo culturale e neppure di tipo strutturale sul tema della procedura e della gara. Una serie d’interventi si stanno però svolgendo, un po’ in sordina, su alcune riviste (“Left”, “Il Manifesto”, “Il Fatto Quotidiano”), come se il tema fosse circoscritto a un gruppo di autorevoli archeologi e intellettuali che scrivono e vengono intervistati, ricordandoci l’importanza della tutela degli ipogei e del monumento Colosseo.

Non dobbiamo però essere ingenui. Sul tavolo non vi è solo il tema della copertura dell’arena del Colosseo, non solo la sua integrità di monumento e di fascinosa rovina, il suo mantenimento, questioni che sembrano interessare esclusivamente gli archeologi. A questi se ne affiancano infatti altri di carattere culturale e sociale, che investono la democrazia stessa del fare architettura.

Come comunicare i concorsi di architettura? Come svolgerli? Quale la figura e il peso dell’architetto? E infine: a quale punto si trova il dibattito sul progetto, anzi sulla storia e sulla progettazione, tanto caro a Mario Manieri Elia? Sono questi temi che investono solo apparentemente gli addetti ai lavori e che invece impegnano ogni cittadino interessato alla democrazia intesa come gestione del patrimonio pubblico.

 

Una gara in sordina

Come si legge nel disciplinare di gara telematica: “L’obiettivo principale del bando è quello di individuare una soluzione progettuale per il nuovo piano dell’arena del Colosseo, in modo da offrire contestualmente la percezione del piano su cui avvenivano i giochi e la visione del complesso sistema di strutture e meccanismi sottostanti che consentivano l’attuazione dell’azione scenica antica”. Lo scopo è di realizzare un piano continuo e unitario con un’alta qualità tecnologica: in grado di aprirsi e chiudersi, di permettere la visione del complesso monumentale e contemporaneamente di mantenere una relazione con gli spazi ipogei.

Della gara sappiamo che vi hanno partecipato 11 gruppi, cioè 11 società o raggruppamenti composti da architetti e ingegneri con la figura centrale dello strutturista. Ad oggi non conosciamo i progetti vincitori ma solo la graduatoria (non ancora formalizzata), guidata da Labics; nulla però sulle idee proposte. L’efficientismo messo in campo con la gara si è fermato lì, privandoci di un reale confronto pubblico che faccia capire non solo la portata del progetto, ma anche il valore dell’architettura nella contemporaneità.

 

Autore

  • Emma Tagliacollo

    Componente del Comitato Scientifico di IN/Arch, responsabile del percorso di formazione Storia e Critica per il CTF, componente della Commissione parità di genere sempre per l'Ordine degli Architetti di Roma e provincia. Già Segretaria di IN/Arch Lazio e di DO.CO.MO.MO Italia, è esperta di pratiche urbane e ricercatrice indipendente specializzata nel patrimonio culturale. Si occupa di temi del moderno ed è autrice di contributi, anche video, sulle trasformazioni urbane e sulla valorizzazione dei beni culturali. Ha lavorato come ricercatrice al CNR e all'Università Sapienza di Roma sui temi dei centri storici minori e della partecipazione come governance e strategia innovativa di valorizzazione. Ha collaborato in Cina con WHITRAP UNESCO per l’applicazione del Paesaggio Storico Urbano. Dall’esperienza sul campo ha ideato e curato il progetto “Passeggiate fuori porta” con CNR e IN/Arch Lazio. È dottore di ricerca e specializzata in “Restauro dei monumenti architettonici” all'Università Sapienza, dove ha insegnato Restauro e Progettazione architettonica e dove è stata titolare del corso di Teoria e storia del design.

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Last modified: 22 Aprile 2021