Riceviamo e pubblichiamo una lettera che sposta l’attenzione dall’arena al recupero dell’ex Arsenale austriaco, riflettendo sul valore dell’originalità delle proposte
Se è vero che “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, verrebbe da pensare che a Verona negli ultimi tempi stia accadendo l’esatto contrario, quanto meno nell’ambito della tutela del patrimonio storico-architettonico cittadino. Il 26 gennaio 2017 sono stati pubblicati i risultati del concorso per la progettazione di una nuova struttura mobile di copertura dell’anfiteatro romano dell’Arena. È poi prevista una mostra presso il palazzo della Gran Guardia di tutti i partecipanti, sui quali sembra che anche i cittadini potranno esprimere il proprio parere: “l’oltraggio” al monumento dev’essere democraticamente condiviso e sostenuto; quindi, dopo il giudizio espresso dagli esperti, sperano che arrivi anche l’avallo della cittadinanza.
Tuttavia quest’ultima nel frattempo sembrerebbe aver espresso un certo sussulto e disappunto in merito ad un altro ludico e consumistico coperchio, molto meno pubblicizzato al di fuori del contesto veronese ma, purtroppo, con ben più solide e concrete possibilità di essere realizzato: entro il 7 febbraio scorso sono stati infatti depositati in Comune oltre 600 emendamenti contro il progetto di riqualificazione dell’ex Arsenale austriaco (dello studio 5+1AA), che prevede una copertura della corte principale con una struttura in acciaio e vetro destinata a formare una sorta di mastodontica serra/luna park.
In merito a questo progetto, al di là delle diverse opinioni che possono essere discordanti sulla sua negativa forza impattante sul contesto (si veda peraltro come termine di paragone con intenti ed esiti di segno opposto in un contesto analogo il restauro del panificio della Caserma santa Marta a firma di Massimo Carmassi, insignito della Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana 2015), credo che non possa essere comunque negata una forte somiglianza nell’espressività formale della sequenza delle falde con la più famosa Filarmonica di Stettino (progetto dello studio Barozzi-Veiga vincitore del Premio Mies van der Rohe 2015), risultando di conseguenza anche nell’ambito della prassi dell’architettura postmoderna e della sua celebrazione mediatica, carente di un elemento molto ricercato e fondamentale per il successo: l’originalità dell’opera, data dalla “onnipotente” creatività del suo autore.
È in questa visione della creatività che emerge la radicale e drammatica differenza tra l’architetto come traduttore di forme (“L’originalità consiste nel tornare alle origini” – Antoni Gaudì) e l’architetto come autonomo creatore di forme senza limiti (“Esistono 360 gradi, perché limitarsi a uno?” – Zaha Hadid).
About Author
Tag
concorsi , verona
Last modified: 16 Febbraio 2017