Cartolina dal capoluogo giuliano tra immobilismo, strategie urbane non sempre coerenti e l’idea di un concorso che vorrebbe riportare l’immagine urbana ai fasti imperiali
TRIESTE. Il 21 ottobre scorso si è festeggiata la data in cui il protagonista del film Ritorno al futuro veniva spedito in un mondo in cui le persone erano dotate di scarpe autoallaccianti, skate a levitazione magnetica e altri dispositivi frutto dell’innovazione e di nuove invenzioni. Un futuro simbolo della fiducia nel progresso, capace d’influenzare retroattivamente le vicende passate. Per una strana coincidenza, qualche giorno dopo, il sindaco Roberto Cosolini ha annunciato di volere bandire un concorso d’idee per la riprogettazione della piazza Sant’Antonio Nuovo affinché il Canale di Ponterosso possa tornare nella configurazione che aveva prima del 1934 (nella foto di copertina).
In quell’anno – nel pieno fulgore fascista, quando la città giuliana fu interessata da diversi interventi urbanistici in quanto ultimo baluardo contro la minaccia iugoslava – si decise d’interrare l’ultimo tratto del canale, ovvero quello che lambiva il colonnato della chiesa neoclassica di Sant’Antonio Taumaturgo, per trasformarlo in una piazza alquanto improbabile.
Ovviamente questa volontà di riavvolgere velocemente il racconto urbano ha subito scatenato molteplici reazioni: il quotidiano locale “il Piccolo” ha lanciato un sondaggio on line (56% i pro), i comitati a favore dell’iniziativa hanno iniziato a lanciare proclami sui social network, l’Ordine degli architetti – di cui l’attuale assessore ai Lavori pubblici Andrea Dapretto è stato il penultimo presidente – si è espresso positivamente.
Il concorso dovrebbe essere bandito prima della fine del mandato dell’attuale sindaco (in scadenza nella primavera 2016) e i fondi necessari reperiti a livello europeo, probabilmente post progetto.
Quest’ultima novità completa una serie d’iniziative in campo urbanistico che hanno, talvolta, dimostrato una certa incoerenza. Mentre l’assessore all’Urbanistica – la volitiva urbanista Elena Marchigiani – cercava di attuare una parte del piano del traffico pedonalizzando una via centrale della città, veniva inaugurato in pompa magna un maxi parcheggio – eredità di precedenti giunte – ricavato all’interno del colle di San Giusto per stivare in pieno centro storico più di 700 auto. Così come il sindaco che dopo avere avviato una felice negoziazione con l’Autorità portuale per la sdemanializzazione del Porto vecchio, lasciando presagire finalmente lo sblocco di un’area dopo decenni di abbandono e scenari futuri che avrebbero riallineato la città con altre realtà europee, lanciava l’idea di questo concorso-nostalgia che dovrebbe riportare l’immagine di Trieste ai fasti dell’Impero asburgico. Insomma, da un lato la capacità di leggere i fenomeni trasformativi in atto nel resto di Europa e tentarne un’applicazione (basti pensare al piano PISUS per il centro storico), dall’altro la necessità di assecondare (e talvolta sottomettersi, visto che la pedonalizzazione è stata sospesa anche per le lamentele dei cittadini) un elettorato anziano e restìo alle novità.
Una delle motivazioni che sostiene l’idea della competizione architettonica – un concorso con le stesse finalità si svolse negli anni ottanta con vincitrice Gigetta Tamaro – è quella per cui riallungare il canale di alcune decine di metri restituirebbe maggiore vigore alla relazione con il mare: argomento flebile e alquanto curioso in una città in cui l’intera superficie del lungomare (“le rive”) è destinato al parcheggio delle automobili. Non resta che aspettare per capire se questo sarà uno degli ennesimi progetti redatti per Trieste (a proposito, l’ultimissimo annuncio riguarda la vecchia Pescheria per cui è stato affidato ai veneziani MAP uno studio di fattibilità che la trasformi da spazio espositivo a mediateca), città dalle mille professate potenzialità e dalle molteplici identità ma troppo spesso carente di progettualità.
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concorsi , rigenerazione urbana , trieste
Last modified: 1 Febbraio 2016
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