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Jacopo GresleriWritten by: Forum

Matera, capitale di quale cultura?

Considerazioni mentre è in corso il programma della Capitale europea della cultura 2019

 

Un successo turistico

Il martellante battage pubblicitario che da oltre un anno ci ricorda di “Matera – Capitale europea della cultura 2019” ha prodotto i suoi frutti, portando migliaia di turisti in visita alla città dei Sassi, ma stravolgendo il delicato equilibrio di un luogo fragilissimo che dai tempi della migrazione forzata degli anni Cinquanta sta ancora cercando una nuova identità. Identità che in questi mesi si materializza con il “Passaporto del turista”, un pass che consente l’accesso gratuito ai vari eventi, un passaporto per sbarcare turisti affamati di cibo, foto e ricordi.

Ancora una volta si assiste stupefatti a quanto accade, in fondo un po’ compiaciuti per il successo di massa se si osserva l'”invasione” di turisti che in gruppo o soli calcano le strade della città, fermandosi distrattamente a scattare fotografie del luogo magico illustrato da qualche guida. Pochi secondi e le immagini immortalate nello smartphone faranno il giro del mondo su qualche profilo condiviso di Instagram o Facebook, mostrando agli “amici” curiosi l’eccezionalità della propria esperienza di “turista della cultura”. Gli immancabili selfie, con una veduta del Sasso Caveoso o del Barisano, qualche scatto alle chiese rupestri e poi… il contorno di motocarri per il trasporto dei turisti, i piatti della tradizione lucana consumati nell’immancabile ristorante con menù turistico, le cianfrusaglie vendute a quintali a ogni angolo di strada; oggetti tutti uguali fra loro, distribuiti in negozi che con precisione disarmante si alternano in un ritmo monotono: bar-souvenir-ristorante, bar-souvenir-ristorante… Un’offerta consumistica già vista in altri eventi di grande portata o in città di turismo di massa e che, come sempre, appare eccessiva rispetto alla ben più esigua domanda dei turisti. Persino il (fin troppo) ricco calendario di eventi messo in piedi diligentemente dall’Amministrazione comunale sembra svanire di fronte a una simile macchina commerciale che speriamo venga smantellata quanto prima, al calare del sipario di questa imponente kermesse.

Invochiamo un po’ di silenzio e di rispetto per questa città, che ancora una volta subisce – ma ora forse consapevolmente? – violenza e alterazione della propria realtà (la struttura urbana no, quella per fortuna è vincolata). Ma fino a quando potrà resistere se la cellula abitativa di cui è costituita l’intera città antica continuerà a essere trasformata in resort a cinque stelle, lussuose spa o ristoranti e, all’estremo opposto, in distributori di gazzose e magneti da frigorifero?

 

Cultura: produzione vs consumo

Presto i materani si accorgeranno di quanto sta accadendo alla loro città non appena l’ondata pubblicitaria cesserà di sbarcare orde di turisti muniti di passaporti, assetate di gossip culturale e paesaggi da cartolina. Turisti per lo più “frontalieri” che, a detta di residenti e operatori turistici locali, soggiornano nella città dei Sassi il tempo necessario per una visita e poi ripartono, per lo più alla volta delle spiagge pugliesi da cui spesso provengono. L’evento di cui è protagonista Matera sarà, con tutta probabilità, annoverato come un successo economico e organizzativo, l’ennesima annunciata rinascita di un Sud ancora e sempre dimenticato, la riscoperta dell’orgoglio lucano post-togliattiano, un successo che però ricalca un modello che, “col senno di poi”, non sembra essere il più appropriato per rilanciare a livello internazionale la dimensione culturale di una città e della Regione a cui appartiene. Complice anche una semplice questione semantica, perché la denominazione di “Capitale della cultura” crea di per sé ambiguità, a partire dalla definizione di quale cultura. Da elaborare o da mostrare? La nomina ottenuta dalla Commissione europea lascia intravedere una possibile proiezione anche (soprattutto?) verso la produzione di cultura, verso la sua elaborazione, mentre nei fatti essa si traduce nella sua esibizione, nell’essere consumata, esperita. L’intera operazione appare maggiormente simile a una lunga “fiera dello spettacolo” piuttosto che allo sforzo costruttivo di elaborare conoscenza e fornire istruzione, di progettare cultura.

 

Format da ripensare?

Dopo 34 anni di programmazione europea, l’esperimento di Matera potrebbe allora essere anche l’occasione per ripensare alla formula dell’evento in questione, a partire dall’inspiegabile fatto di nominare due capitali (quest’anno in concomitanza con la città lucana c’è Plovdiv, in Bulgaria. Ma quanti lo sanno, a esclusione dei bulgari?). Rivedendo almeno parzialmente le finalità promosse dalla Commissione europea, questa iniziativa potrebbe diventare il volano per una offerta culturale più ampia, non numericamente, ma in termini di capacità identitarie e di conoscenza, e soprattutto duratura, ad esempio attraverso l’istituzione permanente di borse di studio e di ricerca, la promozione di start-up legate all’ambito della produzione culturale, il finanziamento d’incubatori d’impresa nel settore, ecc. Un investimento, insomma, che vada oltre il ritorno economico e di visibilità nell’anno in carica, che possa essere veicolo di valori e principi europei condivisi molto più profondi, radicati e costruttivi della dimensione consumistica degli eventi in sé. Come per le Olimpiadi, i Mondiali di calcio o altri grandi eventi internazionali, anche per quello più “nobile” della cultura si corre il rischio di lasciarsi dietro un campo disseminato di “effetti collaterali”, che ricordano più le “bombe intelligenti” della Guerra del Golfo che lungimiranti operazioni di crescita e sviluppo di una comunità.

 

Un fiume di soldi

È questione di pianificazione degli investimenti, di obiettivi prioritari e strutturali da raggiungere, perché le risorse non sono certo mancate. Per l’evento lucano, infatti, con la L. 208/2015 è stata ufficialmente autorizzata la spesa di 28 milioni nel quadriennio 2016-19, di cui 17 destinati al programma di opere pubbliche e 11 al dossier “Matera 2019” consegnati nelle mani della Fondazione Matera-Basilicata 2019, istituita nel 2014 e che resterà in vita fino al 2022 (fonte: Camera dei Deputati). A questa cifra va aggiunta la mancata applicazione, fino al 31/12/2019, delle Norme di contenimento delle spese per l’acquisto di beni e di servizi nonché quelle limitative delle assunzioni di personale con forme contrattuali flessibili, autorizzando la spesa di 500.000 euro annui per lo stesso quadriennio in favore del Comune di Matera. Altri 5 milioni sono stanziati per il medesimo periodo per il completamento del restauro urbanistico dei rioni Sassi e del prospiciente altopiano murgico di Matera. Due anni dopo, la L. 205/2017 (legge di bilancio 2018) ha autorizzato la spesa di ulteriori 20 milioni nel 2018 e 10 nel 2019 per Interventi urgenti nella città di Matera finalizzati a migliorare l’accoglienza, l’accessibilità dei visitatori, il sistema di sicurezza della mobilità e il decoro urbano, nonché per l’attuazione del programma culturale da parte della Fondazione Matera-Basilicata 2019. Un totale di circa 60 milioni di soli finanziamenti governativi a cui va aggiunto l’eventuale premio Melina Mercouri (ministra greca a cui si deve l’invenzione dell’evento) di 1,5 milioni erogato dalla Commissione europea, senza contare gli innumerevoli investimenti privati. Nel complesso, un fiume di soldi.

 

Lasciti

Ma saranno sufficienti centinaia di eventi e spettacoli artistici per lasciare traccia nella storia culturale di una città? Cosa resterà di questo grande sforzo economico e organizzativo? Speriamo molto di quanto previsto, promesso e augurato nel dossier di candidatura stilato dalla Fondazione con lo slogan di “Open future”. È una grande scommessa della quale tuttavia ai cittadini di Matera, probabilmente, rimarrà il ricordo di alcuni eventi, i più interessanti fra i tanti; in termini economici, alcune opere infrastrutturali legate all’ambito del turismo e al suo auspicato sviluppo futuro. Ai commercianti un aumentato guadagno, grazie al maggior flusso di denaro speso in città, sebbene esso venga ripartito fra i tanti nuovi esercenti improvvisati, titolari di attività che senz’altro chiuderanno al termine dell’annus mirabilis. All’Amministrazione resterà il prestigio di un riconoscimento internazionale, il “bollino di qualità” di cui fregiarsi negli anni a venire, l’autorevolezza di essere entrati a far parte di una famiglia di altri 59 membri europei e altri 8 già designati da qui al 2023.

Non si vuole qui demonizzare l’iniziativa della Commissione europea, al contrario, i dati divulgati sono più che confortanti, ma a distanza di tre decadi e 58 eventi internazionali varrebbe forse la pena porsi qualche domanda circa l’efficacia di questa istituzione in termini culturali, e non solo sull’efficienza della sua gestione, già testimoniata dai numerosi report disponibili in rete.

 

Strategie a lungo termine

Nella Guida per l’autocandidatura la Commissione europea giustamente evidenzia che fra gli obiettivi primari presenti c’è il «Contribution to the long-term cultural strategy». Dunque da un lato promozione degli eventi temporanei, dall’altro investimento su una “infrastruttura” del sapere che la città investita dalla nomina europea deve dimostrare di pianificare e saper gestire. Informazioni, queste, relegate in qualche dossier europeo di cui troppo spesso non si sa nulla, perché l’attenzione mediatica è tutta concentrata sull’evento in generale o sul singolo episodio, sulla smisurata offerta culturale d’intrattenimento, mentre poco o nulla viene divulgato della strategia a lungo termine e del contributo apportato alla divulgazione della conoscenza.

A evento concluso, quando sarà possibile elaborare una valutazione complessiva dei risultati ottenuti, si porrà un’ulteriore grande opportunità alla città lucana, quella di diventare la prima firmataria di una riforma strutturale della manifestazione, proponendo un maggiore orientamento della stessa verso quella visione ampia auspicata dalla Commissione europea. Speriamo, quindi, che Matera riesca a dare un buon esempio di pianificazione di progetto politico (come gestione della cosa pubblica) e, accanto al disegno di “Open future” che l’Amministrazione intende elaborare per i propri cittadini, anche la concreta realizzazione di tale visione.

Autore

  • Jacopo Gresleri

    Nato a Bologna (1971), si laurea in Architettura all'Università di Ferrara nel 1999. Consegue il dottorato di ricerca in "Architettura, Urbanistica, Conservazione dei luoghi dell'abitare e del paesaggio" al Politecnico di Milano, dove è attualmente docente a contratto presso il Dipartimento di Architettura e studi urbani. Ha insegnato all'Università di Ferrara e al Politecnico di Torino e dal 2008 svolge attività di Juror e Visiting Lecturer presso il New York Institute of Technology. Ha tenuto conferenze in Italia e all'estero ed è autore di saggi e monografie. La sua ricerca si concentra prevalentemente sulla progettazione architettonica e urbana e sul tema della casa, in particolare cohousing e abitare condiviso. Svolge attività professionale come architetto a Bologna

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Last modified: 4 Settembre 2019