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Emanuele PiccardoWritten by: Reviews

Le utopie radicali sono finite, ma nessuno se ne accorge

Riflessioni dalla visita alla mostra «Utopie Radicali. Oltre l’architettura: Firenze 1966-1976» (alla Strozzina fino al 21 gennaio 2018)

 

FIRENZE. Dopo cinquantuno anni Firenze celebra la Superarchitettura o neo-avanguardia architettonica o architettura radicale o radical design, a seconda del curatore di mostre, simposi, libri che, di volta in volta, la chiama in modo diverso. Questa ennesima resurrezione radicale non viene ospitata nelle sale di Palazzo Strozzi, sede dove si celebrano mostre blockbuster, ritenendo che la Superarchitettura utopica, non potendo avere quell’audience degna di un Bill Viola, debba rimanere nella sua dependance ipogea, la Strozzina. Visto l’interesse generato dal tema nel tempo, sembra una preoccupazione inesistente. Tuttavia nelle nostre città, Firenze in testa, se da una parte c’è una rincorsa alla non sedimentazione della cultura ricorrendo ad artisti cult, dall’altra non si riesce a superare un periodo storico consolidato, sia esso il Rinascimento o gli antichi Greci, per vivere l’età contemporanea.

Quindi la domanda da porsi è: quali temi dell’esperienza radicale restano oggi attuali? Analizzando le ricerche dei gruppi radicali, non si può affermare che abbiano prodotto un’architettura in linea con la dirompente visione della città e del mercato a cavallo del decennio sessanta-settanta, come nel caso di Adolfo Natalini solo per citare il caso più eclatante. In fondo questo sentimento postmoderno ha attraversato nei modi e nei progetti molti dei protagonisti, evitando ad alcuni come UFO, 9999 e Gianni Pettena una riduzione dell’esperienza fatta ad un problema di linguaggio, cercando invece altre vie. Gli UFO la performance nel segno della semiologia di Umberto Eco per poi intraprendere carriere singole, Pettena nel campo dell’arte, i 9999 nella progettazione e gestione della discoteca Space Electronic. Siamo allora sicuri, come da più parti si continua ad affermare, che Rem Koolhaas, Zaha Hadid, Jean Nouvel, Renzo Piano, Bernard Tschumi abbiano citato i radicali nelle loro architetture? O forse hanno avuto la capacità di leggere un fenomeno e successivamente hanno agito in modo autonomo e indipendente? Propenderei per la seconda possibilità, nonostante le dichiarazioni d’intenti dei diretti interessati.

La Superarchitettura diventa un movimento con figure molto diverse tra loro, indagate attraverso le ricerche svolte dalla storica dell’arte Elisabetta Trincherini che ne indaga gli archivi. Gli esiti costituiscono il palinsesto su cui si basa la mostra curata dall’architetto Pino Brugellis, dallo storico dell’arte Alberto Salvadori e dall’architetto/artista Gianni Pettena. Ciononostante si sottolinea come ci sia una visione fiorentino centrica, determinando un errore storiografico di metodo nell’escludere due esponenti radicali importanti: Ugo La Pietra a Milano e Pietro Derossi a Torino. Anche il contesto storico, politico e culturale è il grande assente. Contesto che è  essenziale per comprendere dove nascono e con quali motivazioni le istanze radicali. Non si possono ignorare fatti storici che hanno condizionato fortemente le azioni e i progetti dei radicali: dagli happening di Allan Kaprow alla Pop Art, fino al ruolo delle occupazioni universitarie e del pensiero politico dell’epoca.

La scelta di non adottare una logica monografica di gruppi e singoli in favore di stanze tematiche è sicuramente utile ma crea frammentazione, perdendo la lettura unitaria del display. Allestimento che, pensato in modo statico con cornici alle pareti e oggetti sulle pedane, appare in una modalità superata. Tuttavia, tra le sezioni, quelle più interessanti con materiali inediti sono From the lunar module, sulla conquista dell’universo, con i fotomontaggi di Alessandro Poli/Superstudio del progetto Architettura Interplanetaria (1970) e L’archeologia del futuro (1978) degli Zziggurat; Green Architecture, dove vengono mostrati la Tumbleweeds Catcher (1972), la Grass Architecture (1971), la Clay House (1972) e le Ice Houses (1971-1972) di Pettena, insieme alla Casa Orto dei 9999 (1971) e la Città delle foglie (1973) degli Zziggurat. Così si evidenzia un’avanguardia dei radicali, che nei recenti usi milanesi del verde verticale viene spacciata come innovativa, dimenticando un pezzo di storia, che comprende anche i progetti dei SITE e di Emilio Ambasz. Infine, nelle due ultime sezioni Teaching Architecture si evidenzia il ruolo di docente di Remo Buti e in The human scale il rapporto con il corpo nel Dressing Design di Lucia e Dario Bartolini degli Archizoom, nei gioielli di Buti, Cristiano Toraldo di Francia e Pettena.

Utopie Radicali. Oltre l’architettura: Firenze 1966-1976

A cura di: Pino Brugellis, Gianni Pettena e Alberto Salvadori

Dal 20 ottobre 2017 al 21 gennaio 2018

Centro di Cultura Contemporanea Strozzina

Piazza degli Strozzi, Firenze 

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 4 Novembre 2017