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Emanuele PiccardoWritten by: Design Reviews

Sottsass, pianeti caotici

Nel centenario della nascita di Ettore Sottsass jr, in mostra alla Triennale di Milano “There is a planet”, a cura di Barbara Radice, con allestimento di Michele De Lucchi e Christoph Radl

MILANO. C’è un pianeta: quello che Ettore Sottsass jr ha costruito durante tutta la sua vita spericolata attraversata da linguaggi, influenze, misticismo, erotismo. Forse non serviva usare un titolo anglofono, There is a planet (anche se è il titolo di un progetto mai realizzato per l’editore Wasmuth), scelto dalla compagna/musa/conservatrice dello spirito di Sottsass, Barbara Radice, per rendere merito ad uno dei più significativi protagonisti della cultura artistica e architettonica del Novecento, nato a Innsbruck cento anni fa e scomparso a Milano nel 2007. Forse non serviva l’allestimento sciatto di Michele De Lucchi con quell’azzurrino delle pareti per impreziosire una quantità di materiali di per se stessi interessanti. Forse occorreva una maggiore chiarezza nelle scelte curatoriali anziché proporre al visitatore un’accozzaglia di materiali diversi composti per stupire superficialmente e non per approfondire, evitando di relegare nel corridoio il sensuale ed erotico reportage inedito sulle Ragazze di Antibes (1963), focalizzato sulle sinuose forme di cosce, seni e glutei delle giovani francesi della costa azzurra.

Invece, nello svolgersi del percorso espositivo, la curatrice sceglie nove stanze tematiche, Per qualcuno può essere lo spazio (fino al 1955 circa), Il disegno magico (anni ‘50 e ‘60), Memorie di panna montata (anni ‘60), Il disegno politico (anni ‘70), Le strutture tremano (anni ‘70 inizio ‘80), Barbaric design (anni ‘80), Rovine (anni ‘90), Lo spazio reale (anni ‘80 e ‘90), Vorrei sapere perché… (fino al 2007), con il preciso intento di conferire una struttura metodologica che non corrisponde alla realtà. Infatti, in questa ossessione visiva ricca di oggetti in scala 1:1 come vasi, tavoli, piatti e mobili dal sapore postmodern, si perde l’obiettivo di una mostra che dovrebbe avere tra le finalità una lettura trasversale della ricerca progettuale e artistica di Sottsass. In alcune stanze si ha la sensazione di una selezione umorale e scarsamente scientifica dei materiali, senza quel distacco critico che dovrebbe esserci per valorizzare l’opera di un artista.

Un esempio sono le fotografie scelte. Testimonianza dei viaggi compiuti da Sottsass in India, Cina, America, formano due muri eterogenei dove le fotografie, ammassate le une sulle altre, senza una loro contestualizzazione storica, contribuiscono a rendere poco comprensibile la mostra soprattutto ad un pubblico diverso dalla sciura milanese.

In questo pianeta sottsassiano, presentato alla Triennale di Milano, manca una figura fondamentale per la vita di Ettore: Fernanda Pivano (della quale anche si celebra il centenario quest’anno). Già allieva di Cesare Pavese, Pivano è stata la traduttrice dei più importanti scrittori americani tra cui la Spoon River anthology di E. L. Masters, ma soprattutto per aver tradotto Hemingway ed i poeti della Beat Generation Allan Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti. Fu lei che introdusse Sottsass nel cenacolo degli intellettuali torinesi del periodo tra cui l’imprenditore Adriano Olivetti e lo scrittore Giorgio Soavi. Per la Olivetti, a partire dal 1958, disegna il primo calcolatore elettronico: Elea 9000. Una collaborazione che continuerà per altri vent’anni di progetti culminata con la famosa Valentine, la macchina per scrivere divenuta cult anche per l’esposizione permanente nella collezione di design del MoMA. Nel pianeta Sottsass, quello immaginato da Triennale e Radice, non c’è posto per questa grande intellettuale, senza il cui supporto Sottsass non avrebbe sviluppato quella sensibilità verso la controcultura con la nascita delle fanzine East 128 e Pianeta Fresco, il misticismo indiano… che ne hanno caratterizzato il percorso umano e professionale.

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 4 Ottobre 2017