Visit Sponsor

Silvia MazzaWritten by: Progetti

Grand Egyptian Museum di Giza: opera faraonica, tempi biblici

Concorso del 2002, annuncio inaugurazione 2011, ora slittata al 2018 (o 2022) con costi raddoppiati. Facciamo il punto sul progetto di Heneghan Peng Architects con Pier Paolo Raffa, consulente del progetto di allestimento

 

Una monumentale porta per viaggiare nel passato dei faraoni. A 25 km dal centro della moderna città del Cairo e ad appena due dalle piramidi della piana della città storica di Giza, il Grand Egyptian Museum (GEM) acquista dalla scelta di questa localizzazione una forte identità museale. L’estraniazione dal mondo esterno come preludio alla visita – nei musei, funzione in genere assolta dalla hall – è in questo caso invece favorita da un intero museo, dalla spiccata connotazione liminale che ne fa rito di passaggio dal presente – il Cairo – allo «spazio a parte» della storia – Giza.

L’architettura contemporanea, nelle sue forme più monumentali, sembra lanciare una sfida all’unica tra le sette meraviglie del mondo antico giunta sino ai giorni nostri, la piramide di Cheope. A cominciare dai numeri impressionanti del cantiere, degni delle imprese faraoniche: 5.000 addetti che si alternano in tre turni, su 480.000 mq di terreno (una superficie oltre otto volte quella della base della Grande piramide). Sarà il museo più grande del Paese ma non solo, se si pensa che quello che risulta essere il più grande del mondo, il China National Museum, in piazza Tienanmen, è di 191.000 mq. Il GEM, però, non concentra questa superfice in un solo gigantesco edificio ma la distribuisce tra il museo vero e proprio, il centro conferenze (oltre 130.000 mq) e un complesso di edifici con funzioni ausiliarie: laboratori di restauro, biblioteca, children museum e un altro museo dedicato ai visitatori diversamente abili, oltre a caffè, ristoranti e bookshop (più di 30.000 mq), cui si aggiungono 300.000 mq di aree a verde, incluso un museo open air. Anche la facciata, strutturata sul modello del cosiddetto triangolo di Sierpinski, rivestita in pietra traslucida, è concepita per dialogare con i bianchi calcari, lucidi e lisci, che rivestono le piramidi di fronte.

Si stima che l’impatto economico sull’economia dell’Egitto sia di 840 milioni di dollari, tra costruzione del complesso architettonico e operazioni varie annesse, comprese le ricadute su un comparto turistico che deve fare i conti con l’incertezza politica. Il nuovo museo accoglierà 100.000 reperti. Soltanto 5.500 riguardano la collezione di Tutankhamon, il cui trasferimento dopo 84 anni dallo storico museo del Cairo, da dove proverranno anche gli ingenti pezzi dai depositi mai esposti prima, sarà completato entro l’anno, stando a quanto annunciato pochi giorni fa dal ministro delle Antichità egiziano Khaled El-Enany.

Il GEM nasce, infatti, per rispondere principalmente all’esigenza di maggiori e più adeguati spazi, oltre a migliori condizioni di conservazione per le collezioni, costrette, per non dire ormai affastellate, in locali inadeguati nella sede storica in piazza Tahrir. Basti pensare che proprio la collezione del faraone bambino è circoscritta a due gallerie in un’unica sala, uno spazio davvero esiguo per un repertorio di tale calibro. «Le collezioni che saranno esposte al GEM», ci spiega l’architetto palermitano Pier Paolo Raffa, uno dei componenti del team di consulenti per il progetto di allestimento museologico e museografico, «si trovano adesso, principalmente ma non esclusivamente, nello storico Museo egizio del Cairo e saranno integrate da reperti provenienti sia dagli altri musei dell’Egitto che, in futuro, dalle zone di scavo di tutto il Paese. Il museo è strutturato su una serie di livelli che vanno da un parvis monumentale esterno ad una zona coperta: due aree che il visitatore attraverserà muovendosi verso una grande scalinata che sale ad un livello, vetrato e panoramico, da dove avrà la vista sulle piramidi, proprio dall’interno del museo. Quest’ampia rampa ospiterà una selezione di sculture monumentali distribuite su tutta la sua lunghezza, mentre su entrambi i lati si svilupperanno due vaste zone espositive, le gallerie vere e proprie. Quella principale ospiterà unicamente la collezione Tutankhamon, presentata attraverso un allestimento museografico avanzatissimo. Un’interessante peculiarità di questo museo sarà che, nelle sue molteplici zone espositive distribuite su circa 93.000 mq, si rappresenteranno molte tipologie del museo moderno: il GEM sarà per questo anche un esempio unico di come la museografia contemporanea può proporre la comunicazione culturale, la conservazione, la ricerca e le molte istanze del museo moderno, sempre in sviluppo». Mentre il cantiere procede a ritmi serrati, chiediamo a che punto sia il progetto di allestimento. «Nei prossimi mesi», ci anticipa ancora Raffa, «sulla base delle attuali premesse progettuali, l’allestimento sarà sviluppato da designer di livello internazionale. Il seguito del nostro lavoro come consulenti per la museografia e l’exhibition design, così come, in generale, per il piano di comunicazione culturale, consisterà nel sapere interpretare, mediare, guidare, strutturare le proposte dei designer alla scala delle necessità contestuali del progetto GEM e delle volontà ed aspettative della governance».

La previsione è di attrarre 4 milioni di visitatori l’anno, tanti quanti ne ha totallizzati nel 2015 la National Gallery of Art di Washington, all’ottavo posto nella classifica mondiale dei musei (cfr. l’inchiesta di «The Art Newspaper» e «Il Giornale dell’Arte», n. 363, aprile 2016). Si punta, dunque, a raddoppiare i numeri dell’Egizio del Cairo, pari a 2,5 milioni di visitatori.

Il museo è dei faraoni, ma i tempi di realizzazione rischiano di diventare biblici. Sono, infatti, passati 14 anni da quando il Governo egiziano bandì il concorso internazionale di progettazione, posto sotto il patronato Unesco e la supervisione dell’Unione internazionale degli architetti (UIA). Ad aggiudicarselo, l’anno dopo, tra 2.227 partecipanti da 103 nazioni, lo studio irlandese Heneghan Peng Architects (cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 9, luglio-agosto 2003). Alla progettazione esecutiva s’iniziò a lavorare nel 2005. Il primo annuncio d’inaugurazione era per il 2011, salvo slittare all’anno scorso, mentre adesso si parla del 2018 o, addirittura, del 2022. Ritardi che hanno fatto inevitabilmente lievitare i costi, fino a raddoppiarli: dai 550 milioni del budget stimato nel 2007 (300 milioni provenienti da un prestito giapponese, 100 da finanziamento governativo e 150 da reperirsi tramite campagne di fundraising), si è arrivati nel 2009 a 810 milioni, per toccare il miliardo nel 2015, con trattative in corso per un secondo prestito sempre da Tokyo. Di mezzo la crisi economica e le recenti vicende storiche di un Paese guidato da un presidente, Abdel Fattah al Sisi, insediato da una rivoluzione popolar-militare che ha destituito Mohamed Morsi, primo presidente egiziano (recente la condanna all’ergastolo per spionaggio) eletto dopo la caduta del rais Hosni Mubarak nel 2011 a seguito della Primavera araba, per impedire un’islamizzazione delle istituzioni egiziane.

 

 

 

Per_approfondire

Chi è Pier Paolo Raffa

PP Raffa_1Architetto di formazione, con un percorso accademico dall’industrial design all’urbanistica maturato tra la Sicilia e la Francia, e con un ricco ed eclettico portfolio di esperienze professionali nel settore museografico e, in genere, del cultural engineering, tra Europa e Maghreb. Al GEM approda rispondendo a una ricerca internazionale di un professionista competente nel settore della museologia e museografia, lanciata dalla società americana Hill International che cura la consulenza al progetto. La differenza la fa la sua molteplice e lunga esperienza nei paesi del Nord Africa che gli ha consentito un’approfondita conoscenza del contesto culturale, della geografia e della economia dei paesi del Maghreb, portandolo a sviluppare progetti di recupero e valorizzazione culturale ed architettonica in particolare in Marocco e Tunisia. La fotografia, da sempre sua parallela attività professionale, è stata sovente inscindibile complemento che ha arricchito lo sviluppo di progetti di cultural heritage da lui elaborati o a cui ha collaborato, anche a seguito di numerosi inviti e finanziamenti come «Artiste en résidence» per azioni di valorizzazione dell’architettura e dei contesti urbani in Francia, Italia, Finlandia, Tunisia, Algeria, Marocco, Libia, Oman, Stati Uniti e Regno Unito.

Autore

  • Silvia Mazza

    Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e dal compianto Folco Quilici nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Dal 2019 collabora col MART di Rovereto e dallo stesso anno ha iniziato a scrivere per il quotidiano “La Sicilia”. Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale. Ha collaborato con il Centro regionale per la progettazione e il restauro di Palermo al progetto europeo “Noè” (Carta tematica di rischio vulcanico della Regione Sicilia) e alla “Carta del rischio del patrimonio culturale”. Autrice di saggi, in particolare, sull’arte e l’architettura medievale, e sulla scultura dal Rinascimento al Barocco, ha partecipato a convegni su temi d’arte, sul recupero e la ridestinazione del patrimonio architettonico-urbanistico e ideato conferenze e dibattiti, organizzati con Legambiente e Italia Nostra, sulle criticità dei beni culturali “a statuto speciale”, di cui è profonda conoscitrice.

About Author

(Visited 3.628 times, 1 visits today)
Share

Tag


,
Last modified: 29 Giugno 2016