Visit Sponsor

Written by: Progetti

Architettura imposta: Gehry invade il paesaggio parigino (e non tutti sono contenti)

Cento milioni di euro, afferma LVMH. E voi ci credete? Un Gehry per 100 milioni tondi tondi?
Sicuramente per uno degli uomini d’affari più ricchi del mondo realizzare un museo senza un budget ben controllato sarebbe stata una cattiva pubblicità; meglio dichiarare una cifra bella tonda allora. D’altra parte il progetto è privato, quindi poco importa il prezzo; e il cantiere prometteva il prodigio! Pelle, pelle interna, pelle esterna… Con Gehry la tripletta è d’obbligo! Un bello spreco di mezzi e materiali per realizzare delle spettacolari vele di vetro che coprono solamente 3.500 mq, nemmeno la taglia di un ipermercato!
Il 17 ottobre, tra coppe di champagne, la visita riservata alla stampa è stata l’occasione per scoprire meglio questa massa, in tutti i suoi angoli.
Una volta arrivati, due piccole porte d’ingresso conducono all’interno di una hall ampia e spoglia. Bianca, eccessivamente ornata, ovviamente; qualche opera d’arte qui e là, e per di più di gusto discutibile. Ma per il momento bollicine e stuzzichini inebriano lo spirito e riempiono lo stomaco dei numerosi giornalisti accorsi a scoprire la «bestia». Si prosegue la visita, direzione ascensore; tempo perso però, l’attesa è troppo lunga. Allora direzione scala d’emergenza: la meraviglia dell’edificio! Camminare attraverso i piani permette di esplorare le interiora del «mostro»; le sue «budella», tutte a vista, costringono tutti a rimanere impressionati. Finalmente si arriva all’ultimo piano, all’accesso al tetto. Sotto le vele di vetro che chiudono l’edificio si estende un complesso intreccio di passaggi e scale che collegano terrazze poste a diversi livelli. Ma nonostante ciò che afferma Frédéric Migayrou – curatore delle mostre dedicate a Gehry alla Fondazione e al Centre Pompidou – l’edificio non ha nulla a che spartire con una terrazza da cui ammirare Parigi. Da qualche scorcio s’intravede la Défense, mentre la Tour Eiffel non è mai al centro della scena, e Montmartre e l’Arco di Trionfo sono invisibili. Ciononostante, percorrere questo labirinto sull’aria, sotto la copertura di acciaio, legno e vetro resta un’esperienza unica; tutti i visitatori si ritrovano con il naso all’insù e la bocca aperta. La prodezza tecnica è ben visibile e l’emozione assicurata passeggiando al di sotto del gioco delle putrelle; forse solo la mancanza di differenziazione netta tra spazi interni ed esterni lascia una sensazione di incompletezza. Sensazione studiata e voluta da Gehry, il quale non lo nasconde: la sua opera non è finita, afferma. Proseguendo la visita si nota come, nelle sale espositive, alla complessità strutturale Gehry abbia – purtroppo – aggiunto una certa complessità spaziale. La pianta è illeggibile e orientarsi diventa quasi impossibile. Ecco così svelata la tredicesima fatica di Ercole: trovare l’uscita della Fondazione Louis Vuitton, e prima di ciò riuscire a vedere tutte le opere esposte! Alle sgraziate sale succedono spazi stretti e tortuosi e zone residuali, tristemente vuote e inadatte a qualsiasi uso. A seguire, delle scale, delle porte… decine di porte… Ci si ritrova un po’ dentro, un po’ fuori, un po’ sopra, un po’ sotto… Una scala, un’altra, un ascensore, una rampa, una scala mobile… Ma Gehry non era un architetto?
Certamente, il regolamento urbanistico è difficile da aggirare; per far credere che questo edificio alto 46 metri contasse solo un piano fuori terra si è dovuti ricorrere a uno strano gioco di mezzi piani e scavi vari. Tuttavia, oltre a una situazione regolamentare grottesca, il risultato in situ risulta sconcertante. L’organizzazione spaziale non segue alcuna logica – Bernard Arnault non voleva un succedersi di stanze, ma desiderava piuttosto un insieme di gallerie indipendenti – tuttavia qui l’assurdo non riesce a essere affascinante. La libertà delle vele di copertura è ripresa nella pianta, che quindi risulta illeggibile.
Anche la mostra al piano terreno della Fondazione, curata da Migayrou, non aiuta; risulta essere ancora più vuota rispetto a quella del Beaubourg. Modellini in scala sono succeduti da altri modellini; un’esposizione che «fa figo», insomma. Sullo sfondo nero, poi, rende un effetto molto elegante!
Ma la Fondazione non è stata costruita per istruire, piuttosto per imporre. Per mettersi in mostra e non per mostrare. Anche se una parte istruttiva c’è, il listino prezzi. Dove vengono proposti due biglietti nettamente differenti: il primo per la visita architettonica a 9 euro, il secondo per vedere la collezione proposta dalla Fondazione, a 14. Le cifre parlano: la Fondazione è un’opera che si ammira da sola. Ma che può lasciare insoddisfatti: dopo 3 ore di visita l’irrazionalità è evidente nelle sue forme e nei suoi impianti planimetrici. Il progetto nel suo insieme risulta amorale, l’epoca dei conti è finita da un pezzo…
Risulta difficile pensare che l’edificio non rappresenti un capriccio. Il capriccio di un uomo d’affari, di un architetto, e anche di una città che cerca di darsi un tono, senza originalità, senza la capacità di far emergere qualcosa di nuovo.
Possiamo parlare di spettacolo? Provate a porre la domanda a Gehry, vi risponderà alzando il dito medio, un po’ come ha fatto a Oviedo, durante un incontro stampa. Perché arrovellarsi intorno a questa questione, quando sappiamo che la sua architettura è solo spettacolo? Ma la Fondation Louis Vuitton è uno spettacolo dispendioso, che può in egual misura meravigliare e disgustare. Un simbolo soprattutto della sua epoca e dei suoi eccessi. Un’ode all’autosufficienza e alla marca.

Traduzione: Caterina Grosso
Testo originale: http://www.lecourrierdelarchitecte.com/article_6154

Autore

About Author

(Visited 395 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 3 Luglio 2015