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Alessandro ColomboWritten by: Città e Territorio

Scenografie ed esclusività vs sostenibilità: come i Giochi 2024 trasformano Parigi

Scenografie ed esclusività vs sostenibilità: come i Giochi 2024 trasformano Parigi

A sei mesi dalle Olimpiadi in Francia, una riflessione (retrospettiva e prospettiva) sugli impatti urbani del grande evento

 

PARIGI. I cinque cerchi campeggiano luminosi e colorati, nella grande sala della mostra “Mode et sport, d’un podium à l’autre” al Musée des Arts Décoratifs (fino al 7 aprile), posti quasi a consacrare la distesa di manichini che, collocati sul piano sottostante, indossano le meraviglie che la moda francese ha pensato lungo i decenni per permettere la pratica sportiva con classe, gusto, eleganza e innovazione.

Da Atene a Parigi (tre volte)

Questa potrebbe essere una sintesi visuale e concettuale dei prossimi Giochi olimpici in apertura nella capitale francese il 26 luglio, e che dureranno fino all’11 agosto. Rinate nella seconda metà dell’Ottocento proprio in quell’Atene che il mondo occidentale vedeva come culla della propria civiltà, le Olimpiadi s’inserivano in un’epoca di progresso, industriale, scientifico e culturale, che perseguiva anche la costruzione di città che fossero nuove dal punto di vista civile e urbano a consacrare l’idea di nazione moderna dopo la fine dei grandi assolutismi e la riunificazione dei paesi smembrati da secoli di guerre. In questo modo, ancora prima delle grandi strutture sportive – non ancora necessarie in quanto gli sport erano pur sempre appannaggio di pochi – si usavano le Olimpiadi per celebrare i nuovi assetti urbani e le conseguenti visioni politiche, intendendo della polis. Atene, Parigi, Saint Louis, Londra, Stoccolma, Anversa, Amsterdam, Los Angeles, animate dallo spirito del barone De Coubertin si presentano al mondo e il dramma della Prima guerra mondiale non scalfisce la visione di fondo. Con Berlino 1936 si introduce non solo la dimensione politica dei giochi – la Seconda guerra mondiale calerà in breve sul mondo con le sue atrocità – ma anche l’occasione per la costruzione di strutture sportive di grandi dimensioni sulle quali si caricano pesanti responsabilità di autorappresentazione.

Il mondo devastato dagli eventi bellici necessita di ricostruzione e si riparte da Londra, non a caso, per toccare le grandi capitali che, nei due opposti schieramenti, erano state protagoniste del conflitto, Helsinki, Roma, Tokyo e poi Monaco di Baviera, ma anche i “nuovi” paesi che si affacciavano o tornavano sulla ribalta economica mondiale, Melbourne, Città del Messico, Montreal, Seul fino a Barcellona, qui addirittura rilanciando un nuovo modello di città.

 

Grande evento, grandi architetti

In tutti i casi, anche se sempre si tratta di un evento che si svolge sull’arco di due settimane, non si lesinano gli sforzi per dotare i centri di grandi complessi sportivi che segnano, per qualità, innovazione, bellezza, anche la storia dell’architettura e della cultura urbana. Facile fare dei nomi: Per Luigi Nervi a Roma, Kenzo Tange a Tokyo, Frei Otto a Monaco di Baviera, Pedro Ramírez Vázquez e Rafael Mijares Alcérreca a Città del Messico. Impianti immensi, frutto di orgoglio nazionale, ma sostenuti anche dall’idea che tutti i popoli, finalmente liberi di viaggiare in un mondo rappacificato, potessero qui riunirsi.

L’impostazione arriva fino a Pechino 2008 disturbata solo dai boicottaggi che colpiscono la parte geopolitica dei Giochi, non la loro influenza urbana. Certo l’implosione economica provocata dall’edizione di Atene nel paese ellenico non giova, ma in Cina possiamo ancora ammirare un enorme stadio, il Nido, affidato alle archistar Herzog & de Meuron. Le crepe nel modello che identifica Giochi, città, nuovi impianti e sviluppo urbano sono evidenti a Tokyo 2020, rimandato al 2021 causa Covid.

 

Sostenibilità: che cosa significa?

Parigi arriva, cento anni dopo la sua ultima esperienza e diventando così la sola città – con Londra – ad avere ospitato tre edizioni dei Giochi, ad inaugurare un nuovo modello sulla scia di un’idea di città che persegue da qualche anno, inverando una sorta di movimento mondiale che, di fatto, sta cambiando i nostri quartieri in nome di sostenibilità, prima, e transizione energetica, ora. Non più nuovi impianti, non più sviluppo di parti urbane, non più movimento di genti e consacrazione di popoli, non più grandi opere architettoniche, ma utilizzo e rigenerazione di ciò che esiste, opportunamente allestito allo scopo. Al di là dei proclami basta fare un giro sulle rive della Senna, curiosando nei vari arrondissement, per avere una precisa idea di quanto accadrà da qui a luglio. La proclamata percentuale di rigenerazione, 95%, al cospetto della nuova edificazione, 5%, al di là di come si arrivi a questi numeri, vede l’operazione del villaggio olimpico – apertamente dichiarata come nuovo quartiere urbano, come avvenuto in tante edizioni precedenti – prendere vita nei tre comuni che hanno nel nome Saint-Denis e che sono, di fatto, un continuum fisico con Parigi, rappresentando un decentramento solo dal punto di vista amministrativo.

In un contesto degradato, il piano dello studio Dominique Perrault per i 52 ettari di superficie vuole valorizzare la Senna – “Ho disegnato tutti i viali perpendicolari al fiume”, dichiara l’architetto – e presterà i suoi edifici agli atleti per tre settimane, esattamente come avverrà a Milano per i Giochi invernali del 2026. Appena di fronte si trova il nuovo Centre aquatique olympique che, con il centro di arrampicata di Bourget, dovrebbero costituire i soli nuovi interventi.

Un’Olimpiade che guarda al centro di Parigi e se ne fa un vanto, in nome di sostenibilità ed ecologia ma che, in sostanza, rende l’evento ancora più esclusivo e caro, con una serie di gravi limitazioni alla vita della città e dei cittadini e con dei vantaggi per la collettività, la cosiddetta legacy, che paiono limitati a pochi interventi da una parte, ma che porteranno a drastici cambiamenti dall’altra, quali la pedonalizzazione massiva di nodi come Place de la Concorde, per fare un esempio.

 

Una città di grandi palchi

La Parigi scenografata, resa cioè grande palco di uno spettacolo mediatico globale a sfondo sportivo, sfoggerà la Tour Eiffel che ospiterà una gara di Triathlon – già fervono i lavori – e la Senna sarà prima teatro dell’inaugurazione fluttuante (che renderà la città una grande zona rossa, ma forse in questo caso sarà accettabile) e poi, resa balneabile (non si è ancora capito come), diventerà piscina olimpica e dovrebbe rimanere tale a beneficio dell’intera popolazione, questo almeno nel programma. Gli Champs Elysées si trasformeranno in una gigantesca pista ciclistica e il Grand Palais, appena restaurato, ospiterà i campionati di scherma. Sempre in zona, il Champ de Mars diventerà un campo di beach volley e nell’area che porta a Les Invalides sarà allestita una pista di atletica. Più a Est, l’Arena di Bercy ospiterà gli incontri di basket e judo, mentre a ovest la Reggia di Versailles sarà la sede delle gare di equitazione. La dimensione decentrata che – quasi in modo contraddittorio – viene vantata è affidata ad alcune gare sparse sul territorio francese e addirittura ad una collocata nell’oltremare, a Tahiti, dove, a 22 ore di volo dalla capitale, si terranno le gare di surf (che, ovviamente, vedremo on line).

Certamente la dimensione mediatica e la fruizione via web e social risulterà massimizzata e forse, alla fine, questo è il vero scopo.

Eppure, i grandi lavori ci sono, anche se a contorno. Il progetto Grand Paris Express procede; si visiti la mostra “Métro! Le Grand Paris en mouvement” alla Cité de l’architecture et du patrimoine per approfondire i 200 km di linea circolare esterna che, tramite l’allungamento di alcune linee cittadine, connetterà Parigi a tutta l’Île-de-France. Grande anticipazione olimpica, la stazione Saint-Denis Pleyel di Kengo Kuma & Associates / Société du Grand Paris, la cui apertura è promessa in tempo utile e che diventerà il nodo principale del colossale progetto.

Consolidare un brand, Parigi e la Francia, alimentare e incrementare un flusso turistico che è già monstre, lasciare ai tutto sommato pochi e fortunati che vivono nelle zone centrali, nella città dei quindici minuti, una capitale che, dopo i disegni olimpici, sarà destinata, temiamo, ad essere sempre più parcellizzata e divisa per classi. Si potrebbe anche leggere così la Parigi olimpica che mostra la sua eleganza, il suo fascino, la sua classe, sotto i cinque cerchi colorati proponendo un nuovo modello di città che, forse, non piacerà a tutti.

 

Per saperne di più: paris2024.org

 

Immagine di copertina: foto Stephane Kempinaire, courtesy Paris 2024

 

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

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Last modified: 31 Gennaio 2024