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Paola BiancoWritten by: Reviews

Il brutalismo? Un “evergreen”

Nuove indagini sull’architettura brutalista, in particolare nelle sue declinazioni regionali e nelle sue rivisitazioni odierne

 

C’è una nuova ondata brutalista che pervade il globo: l’interesse per queste architetture è tornato da poco a dispiegarsi. Lo dimostra, ad esempio, un progetto di ricerca sponsorizzato dal Deutsches Architekturmuseum e dalla Fondazione Wustenrot e aperto ai contributi esterni, con mappatura e schedatura delle opere a livello mondiale. Alcune pubblicazioni recenti riportano altresì l’attenzione sull’argomento. Persino i video musicali ne portano traccia: che un gruppo pop come i Gorillaz di Damon Albarn ne abbia fatto il centro di due video promozionali recenti è sintomatico: in entrambi infatti troviamo ritratta la londinese Trellick Tower, costruita tra il 1968 e il 1972 dell’architetto ungherese naturalizzato britannico Erno Goldfinger, autore di altre torri residenziali simili nella capitale britannica. La mitografia vuole che la Trellick Tower sia il luogo in cui ha avuto origine la band.

Abbiamo già trattato l’originale tributo per immagini a Lina Bo Bardi del volume Lina. Avventure di un’architetta. Restiamo in Sudamerica con Brutalismo Paulista. L’architettura brasiliana tra teoria e progetto (di Anna Rita Emili, manifestolibri, 2021, 350 pagine, 25 euro), della collana “Architettura e critica del presente”. Il testo traccia le coordinate temporali del movimento (tra anni quaranta e settanta), le sue personalità più rilevanti – tra cui il recentemente scomparso Paulo Mendes da Rocha, oltre a Joao Batista Vilanova Artigas, Decio Tozzi (di origini italiane), Ruy Ohtake, Sergio Ferro, Flavio Imperio – e definisce l’architettura come tassello del panorama culturale brasiliano che include il cinema novo, la poesia concreta, il teatro degli oppressi e la pop art nella variante nazionale. Il racconto segue sostanzialmente una scansione cronologica: dai prodromi del modernismo con l’influenza dei maestri europei e statunitensi, alla definizione del contesto culturale della scuola paulista, agli elementi identitari che caratterizzano la scuola come il ruolo della natura, l’eliminazione del superfluo, il vuoto come piazza urbana. Le sezioni successive affrontano invece la cosiddetta seconda ondata di brutalisti – o neobrutalismo paulista – e soprattutto i suoi fattori linguistici e compositivi: i volumi, le coperture, gli attacchi a terra. Chiudono il volume un’intervista a Tozzi e le biografie sintetiche dei protagonisti. L’apparato iconografico è molto vasto, pur non sempre di prima mano (più che altro immagini d’archivio). Le note non rendono sempre agevole la lettura, ma è forse questo l’unico elemento di debolezza di un prodotto editoriale del resto molto interessante e che apre uno squarcio su un movimento architettonico poco noto alle nostre latitudini.

Una familiarità maggiore, data indubbiamente anche dalla vicinanza geografica, l’abbiamo con la declinazione britannica del brutalismo. Il volume fotografico Brutal North. Post-War Modernist Architecture in the North of England (Simon Phipps, September Publishing, 2020, 208 pagine, 25 euro) approfondisce ulteriormente gli esiti della produzione architettonica degli anni sessanta e settanta in quella regione di Regno Unito che va dal nord di Londra al confine con la Scozia. L’autore è un fotografo inglese che ha già proposto guide agli edifici brutalisti di Londra e di tutto il Regno Unito. Al di là dell’introduzione e delle schede sintetiche delle opere a fine tomo, a farla da padrone sono le immagini, in rigoroso ed elegantissimo bianco e nero, prive generalmente della figura umana: gli edifici si stagliano il più delle volte sui brumosi cieli del nord. Il volume, attraverso la scelta della classificazione geografica, che ne fa anche un’utile guida per chi si trovasse in viaggio, può essere un efficace compendio delle architetture minori del Regno Unito e riesce a stimolare il lettore, facendogli scoprire che non di soli Chipperfield e Hadid vive l’architettura britannica, ma di piccole storie sconosciute o anche sfortunate (spesso si tratta infatti di edifici poco valorizzati e apprezzati dal pubblico), che meritano però attenzione.

Infine, Brutalism Reinvented 21st Century Modernist Architecture (Agata Toromanoff, Prestel Publishing, 240 pagine, 2021, 35 sterline, circa 40 euro) si occupa di tracciare, attraverso una selezione di circa 60 edifici, il filo rosso che unisce le prime espressioni del brutalismo alla sua rivisitazione contemporanea, operata da diversi studi di architettura a livello planetario. Le caratteristiche fondative del brutalismo vengono rinvenute nei principi della “semplicità, funzionalità e crudezza (quest’ultimo termine da interpretare come limitazione dell’uso del decor; N.d.A.)”. Secondo l’autrice si è passati nel tempo dall’approccio piuttosto radicale e aspro degli esordi, a risultati recenti di una maggiore sofisticazione ed eleganza. Si tratta sempre di edifici che hanno uno scheletro portante in calcestruzzo, e in molti casi non lo celano, facendolo diventare un esoscheletro o viceversa rivelandolo, sempre in tutto il suo rigore, negli interni. La struttura dell’opera è in 7 capitoli, ciascuno dedicato ad edifici dalla funzione specifica (abitazioni unifamiliari, abitazioni plurifamiliari, edifici culturali, uffici, edifici pubblici, edifici per l’ospitalità ed edifici sacri). Ogni capitolo si apre con le schede di tre opere del passato recente considerate paradigmatiche. A seguire, un numero variabile di esempi contemporanei per ogni tipologia, che probabilmente hanno portato “oltre” lo stile verso nuove vette espressive. Nei lavori contemporanei il calcestruzzo, all’origine della visione purista di Le Corbusier, viene spesso utilizzato in combinazione con altri materiali dall’estetica “forte”, quali il vetro, il metallo e il mattone, creando talvolta degli ibridi un tempo impensabili. La forza del volume risiede nelle grandi immagini a colori; la novità invece, sta proprio in questo sforzo di tipo storico, nel ricercare una continuità tra lavori di ieri e oggi, lanciando anche idealmente un ponte verso il futuro.

 

Immagine di copertina: frame dal video di Meanwhile… (Gorillaz, 2021)

 

Autore

  • Paola Bianco

    Nata a Padova (1969) e laureata in Architettura a Venezia nel 1997. Nel 1998 ottiene un Master in Energy and Sustainable Development presso la De Montfort University di Leicester (UK). Nel 2000 è a Bruxelles per uno stage alla Commissione Europea (DG Transport and Energy). Successivamente si trasferisce a Bologna, dove si occupa per alcuni anni di temi ambientali presso varie pubbliche amministrazioni. Dal 2004 si iscrive all’Ordine degli Architetti della Provincia di Bologna, presso il quale si impegna in diverse Commissioni. Nel 2006 apre il suo studio, dove si occupa prevalentemente di certificazione energetica, sicurezza nei cantieri e dove ospita periodicamente mostre legate a diverse forme d’arte (fotografia, scultura, fumetto, giardinaggio). Partecipa a concorsi di architettura e a bandi di pubbliche amministrazioni. Collabora dal 2008 con "Il Giornale dell’Architettura"

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Last modified: 2 Febbraio 2022