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Michele RodaWritten by: Reviews

Quando l’architettura si fa messaggio politico

Quando l’architettura si fa messaggio politico

Molteplice e spesso paradossale, il rapporto tra architettura e politica è sempre più condizionato dalle trasformazioni dei linguaggi della comunicazione

 

Dalla Trump Tower di Manhattan agli insediamenti informali di Lagos, l’architettura esprime certamente luoghi ma anche concezioni del mondo, non solo intercettando – ma invece proponendo – traiettorie definibili come politiche. Tra i testi che indagano questo tema, per tanti versi complesso e scivoloso, tre pubblicazioni recenti in inglese contribuiscono a restituire un ricco apparato di esempi e riflessioni che coprono gli aspetti più diversi: dalla storia novecentesca alla contemporaneità, dal mondo cosiddetto sviluppato ai vasti ambiti delle architetture senza architetti.

Si avvicina molto ai temi dell’attualità (dalla Brexit alle prossime, vicine, elezioni presidenziali statunitensi) la sofisticata ricerca pubblicata da un autore molto prolifico sul tema qual è Graham Cairns. Lo sfondo è il mondo anglosassone, su entrambe le coste dell’Atlantico, dove sei figure di primissimo piano (Barack Obama, George W. Bush e Donald Trump; David Cameron, Margaret Thatcher e Tony Blair) vengono raccontate attraverso alcuni momenti simbolici, indagati nei risvolti architettonici, della loro carriera politica. Le immagini sono pochissime, dieci in tutto, e ritraggono alcune situazioni emblematiche come la convention di Denver del 2008 del Partito Democratico, con un Obama «piazzato in una sorta di ambientazione architettonica che riverbera valori di forza, autorità e tradizione». È esattamente questo il cuore del lavoro, intensamente teorico: la comprensione del ruolo dell’architettura come fattore della costruzione della comunicazione politica, addirittura come strumento politico primario, capace di riarticolare i limiti di un’area di soglia i cui estremi sono progetto, scienza e comunicazione.

Si tratta di una dimensione che nella contemporaneità sfocia nel campo dei media, e quindi dell’immagine, ma che l’architettura novecentesca ha tradotto anche in pietre, diventando strumento privilegiato di propaganda dei regimi totalitari. Sviluppa il tema Håkan Hökerberg, studioso dell’eredità dell’architettura fascista. Il suo libro raccoglie quattordici saggi (tra questi ci sono le firme italiane di Giorgio Ciucci con un articolo sui padiglioni italiani, sovietici e tedeschi nelle esposizioni internazionali degli anni ’20 e ’30, di Antonello Alici che scrive di Giuseppe Pagano, di Paolo Nicoloso sul Sacrario militare di Redipuglia e sull’Ara Pacis Mundi di Medea, di Raffaele Giannantonio sull’urbanistica fascista), esito di una conferenza del 2015 all’Istituto Svedese di Roma. Il saggio centrale (firmato dal curatore con il titolo Il passato nel presente – eredità difficile nel contesto contemporaneo) presenta una concezione critica del passato e della memoria con l’eredità delle dittature intese come fattori ancora palpabili nei paesaggi urbani (in copertina c’è il Monumento ai Caduti di Como, ispirato ad un disegno di Antonio Sant’Elia) che esercitano un’influenza non banale sul clima politico, sociale e psicologico negli stati ex totalitari. Il testo è un’articolata panoramica che approfondisce il potenziale demagogico che gli stessi regimi conferiscono ad un’architettura, non uniforme ma sempre enfatica e retorica.

Quell’enfasi e quella retorica da cui si allontanano ostentatamente le letture che Valeria Federighi propone invece nel suo volume (anche questo sviluppato nell’ambito di una ricerca accademica, al Politecnico di Torino) dedicato all’informale: è un percorso che in sei capitoli ricostruisce, anche con grafici e diagrammi, la grande fascinazione che l’architettura occidentale – dal 2000 (Lagos in Mutations di Koolhaas) al 2016 (data simbolo con la Biennale Reporting from the Front di Aravena) – subisce dalle favelas e dagli slums. L’obiettivo, come scritto nell’introduzione, è «guardare agli incontri tra gli insediamenti informali e il progetto architettonico»: tema su cui il nostro Giornale ha recentemente dedicato una mini inchiesta.

REIFICATION and REPRESENTATION. Architecture in the Politico-Media-Complex, di Graham Cairns, Routledge, 2019, 216 pagine, testo inglese, € 45

 

 

 

 

 

 

Architecture as propaganda in twentieth-century totalitarian regimes. History and heritage, di Håkan Hökerberg (a cura di), Edizioni Polistampa, 2018, 352 pagine, testo inglese, € 35

 

 

 

 

 

The Informal Stance: Representations of Architectural Design and Informal Settlements, di Valeria Federighi, ORO Editions, 2018, 256 pagine, testo inglese, € 33

 

 

 

 

 

 

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 28 Gennaio 2020