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Written by: Inchieste

La Palermo indù (dove gli immigrati aiutano i palermitani)

La Sicilia non è tra le regioni italiane più attrattive per i migranti. Il sogno è quello di arrivarci vivi, ma non di viverci. I processi di stabilizzazione preferiscono il Nord. Solo il 13,5% degli stranieri residenti nel nostro Paese risiede nel Mezzogiorno. Unica eccezione: Palermo.
Nella maggioranza dei casi chi sceglie di fermarsi, e riesce a mettersi in regola, non ha attraversato solo il Mediterraneo ma molti mari. Nel 2010 l’Istat ha scattato una fotografia dettagliata su Palermo: circa 20.200 immigrati regolari, di cui 9.500 dall’Asia (quasi la metà dei regolari residenti nel comune, e più del 10% rispetto all’anno precedente) e 5.700 dall’Africa. Siamo più informati sulle storie dei migranti africani, ma tanti sono i racconti di chi è partito in nave dallo Sri Lanka.
Dati 2011 confermano che Palermo, dopo Prato e Treviso ma prima di Milano e Bolzano, è l’unica provincia meridionale capace di trattenere stranieri non comunitari nel periodo 2007-11 con variazioni positive superiori al 20%. E a chi diventa palermitano tocca dare una mano! In prima battuta per via contributiva: «il tasso di attività degli immigrati regolari è, infatti, più elevato di quello registrato per i cittadini italiani (67,2% e 51,6%). Ma anche a parità di età il tasso di occupazione degli immigrati in età 15-64 è superiore a quello dei cittadini italiani (60% e 44,1%)». Lo scrive Sebastiano Nerozzi in un articolo sul rapporto tra immigrazione e mercato del lavoro in Sicilia a partire da dati Inail 2010 e sono cifre che lasciano a bocca aperta anche il più cinico degli osservatori. Lo scorso primo marzo Palermo era una delle città in cui si è svolta la terza edizione dello sciopero nazionale degli stranieri.
Se la peculiarità dell’isola è che si viene a lavorare soprattutto nel commercio e nell’agricoltura, e meno come badanti o muratori,  Palermo si caratterizza per un altissimo numero di collaboratori domestici, in maggioranza maschi, provenienti in prima battuta dall’ex Ceylon e dal Bangladesh. In quanto a presenza di immigrati occupati, Palermo sarebbe in coda a Catania e Ragusa, ma è la città in cui secondo il sociologo Lorenzo Ferrante sono certamente presenti dinamiche di Reverse Multiculturalism ovvero aiuti quotidiani rivolti ai palermitani in difficoltà da parte degli immigrati lavorativamente inseriti  (asiatici, rumeni e tunisini).
Così il tema della città come integratore di culture minoritarie si ribalta, declinandosi in quello di luogo di aiuto da parte degli ospitati verso gli ospitanti stessi. Il Comune ha un Centro studi e documentazione sulle migrazioni che orgogliosamente parla di una fascia di età compresa tra i 30 e i 34 anni in crescita. Spesso gli immigrati sono scolarizzati, e non è raro che diano vita a organizzazioni che lanciano e tengono in vita iniziative di solidarietà: il banco alimentare per gli indigenti palermitani è l’esempio più eclatante.
In tema di integrazione, la chiave è da più parti individuata nelle attività rivolte ai bambini e ai ragazzi: nel 2011 gli under 17 erano però solo il 4%. Il bisogno di asili nido e servizi per i bambini e le famiglie è evidente a tutti. Centro storico, zona stazione centrale e Borgo nuovo-Zisa: questi sarebbero in particolare i quartieri fertili per attività di Social Business. Ma di microcredito e iniziative virtuose dal basso a Palermo se ne parla solo in ambienti accademici e in sontuosi palazzi. Tra i pochi a provare a fare business sociale, allo Zen, le onlus Domus De luna e Apriti cuore. Peccato, perché dare un ruolo a coloro che vengono tradizionalmente considerati gli ultimi potrebbe invece concretizzare proiezioni come quelle di Giorgio Ruffolo, autore di «Un paese troppo lungo» e speranzoso in una «vasta rete di solidarietà, segno che la gente, oggi abbandonata all’autoritratto sterile dei sondaggi, può ancora trasformarsi, impegnandosi nella costruzione del suo futuro, in popolo».

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Last modified: 26 Settembre 2015