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Written by: Inchieste

Una nuova città chiamata Torino

È relativamente semplice riassumere la recente trasformazione di Torino nel cambiamento della sua immagine: dalla one company town alla città always on the move; dalla città in crisi degli anni ottanta alla città «creativa» e divertente cui si rivolge nuova attenzione dal punto di vista culturale o turistico; dalla città «grigia» della monocultura industriale alla città sempre più bella dove vive la passione. Queste espressioni, che riprendono gli slogan utilizzati per le Olimpiadi del 2006, descrivono il cambiamento della città in maniera semplice. Seguendo quella che sembra essere diventata l’unica strada possibile per lo sviluppo urbano, e cioè la competitività e le sue retoriche, non solo Torino ma tutte le città alla ricerca di un proprio ruolo nel mercato globale producono immagini per attrarre flussi di turisti e investimenti, attività economiche o eventi. Non è che queste immagini non siano «vere», ma tendono a porsi come rappresentazioni monolitiche e certe, non solo possibili ma addirittura inevitabili. Di ogni città, e quindi anche di Torino, esistono in realtà molte immagini, parziali (sempre) e potenzialmente in conflitto (spesso).
Il «gioco» delle immagini che ha accompagnato Torino nella dibattuta transizione dal fordismo al post-fordismo, con l’emergere di nuove parole chiave, invero un po’ opache, come cultura, turismo, servizi, conoscenza, creatività, è in realtà meno netto di quanto possa sembrare a prima vista: esso ha anticipato le trasformazioni, le ha seguite, ha contribuito a costruire consenso e legittimazione intorno a esse ma ha anche affermato, almeno implicitamente, la presenza di visioni «altre», ha eluso il conflitto senza cancellarlo. La Torino che cambia, anche grazie all’insieme di progetti e iniziative (Piano regolatore, Piano strategico, Olimpiadi, riuso dei vuoti industriali, metropolitana, per non citare che i principali), nasconde nelle sue pieghe altre immagini che ci permettono di precisare questo cambiamento e di situarlo all’interno di processi più generali.
In particolare, la dicotomia città industriale/città post-industriale appare troppo semplice, anche solo se guardiamo al mercato del lavoro. Il rapporto annuale della Fondazione Rota del 2007 ci parla infatti di una città in cui la percentuale d’impiego nel settore secondario è, nel 2006, del 34,9%, la più elevata fra le province metropolitane italiane e non molto dissimile dallo stesso dato di 10 anni prima. Così come la vitalità sociale della città e della sua vita notturna, che ha profondamente trasformato parti non irrilevanti dello spazio urbano (i Murazzi del Po o il quartiere di San Salvario), ha parimenti definito nuove fratture territoriali e sociali. La riqualificazione delle aree centrali, in cui si annidano anche processi di gentrificazione, si accompagna infatti a squilibri in altre zone (come l’area del Parco Stura, nella zona nord della città, emblematicamente ribattezzato nel 2006 Tossic Park). Altre fratture s’individuano nell’immagine «culturale»: in questo caso, il cambiamento della città è segnato dalla progressiva divaricazione fra forme (e spazi) culturali di nicchia e forme (e spazi) in cui iniziative definite «culturali» sono meglio classificabili come operazioni commerciali o imprenditoriali (come CioccolaTo e l’uso di piazza Vittorio Veneto come teatro di questa e altre manifestazioni simili). O, ancora, nell’immagine della città multiculturale e interetnica, in cui il tema dell’immigrazione straniera trascura, se non come un problema di sicurezza, le «fatiche» e i conflitti (la casa, l’integrazione delle seconda e terza generazione, la scuola…), ma anche, più banalmente, il cambiamento degli attori sociali e delle popolazioni che abitano la città. Ad esempio, nella zona che parte da piazza della Repubblica, per poi allargarsi verso le aree limitrofe a nord del quadrilatero romano (come Borgata Aurora), in cui è in atto la graduale ma progressiva sostituzione dei «vecchi» residenti con i «nuovi» cittadini stranieri.
Il gioco delle immagini è quindi ambivalente: può fare apparire quello che ancora non c’è, può nascondere tracce di una città diversa, può raccontare una realtà sganciata dalla città cui le immagini si riferiscono, può enfatizzare o nascondere differenze e conflitti. Contemporaneamente, seguirlo può rivelarsi fertile: come ricordano Ash Amin e Nigel Thrift, attraverso le immagini si esprimono e si solidificano relazioni di potere, si proiettano delle narrazioni urbane, si costruisce la capacità della città di sognare e di ripensare se stessa.

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Last modified: 10 Luglio 2015