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Written by: Inchieste

30 anni di terremoti e di emergenze all’italiana

Qual è stato il metodo che ha contraddistinto le gestioni delle emergenze derivate da terremoti di grave entità avvenuti in Italia negli ultimi trent’anni? È questa la domanda che ha animato il primo lavoro del gruppo di ricerca, guidato da Antonello Caporale, dell’Osservatorio permanente sul doposisma della Fondazione Mida (con sede ad Auletta e Pertosa, Salerno). I risultati della ricerca sono illustrati nel rapporto 2010 dell’Osservatorio (Le macerie invisibili). Partendo dai primissimi soccorsi fino ad arrivare alle sistemazioni provvisorie, sono stati analizzati i dodici mesi successivi ai terremoti avvenuti in Campania e Basilicata nel 1980, in Umbria e Marche nel 1997, in Molise nel 2002 e in Abruzzo nel 2009, per capire come sono stati portati i primi soccorsi, con e senza la Protezione Civile (che nel 1980 ancora non esisteva), a chi è stata affidata la responsabilità di coordinamento, quale ruolo hanno ricoperto gli enti locali e qual è stata la spesa che nel primo anno è stata destinata a ogni senzatetto per l’emergenza. La sensazione che si ha nel leggere le pagine della ricerca, ricche di dati, grafici e tabelle illustrative, è che nonostante la fragilità del territorio italiano di fronte al rischio sismico e ai disastri in generale, non esista ancora una legge quadro complessiva su funzioni, competenze, impegni di spesa e ruoli in caso di catastrofe. Ognuno dei casi presi in esame si è caratterizzato per una gestione diversa, decisa dai governi in carica di volta in volta e in cui anche la Protezione civile ha mutato la sua funzione. La prima comparazione effettuata è stata quella relativa al numero di vittime, ai feriti e ai senzatetto dei singoli eventi, per poi definire le fasi dei soccorsi (prima emergenza) e quella delle sistemazioni dei senzatetto (seconda emergenza). Nel 1980 il ritardo dei soccorsi, la loro disorganizzazione nelle prime ore dopo la scossa, la mancanza di mezzi adatti ai soccorsi provocò un aggravarsi del bilancio di morti. Il 26 novembre 1980 fu l’appello televisivo del presidente Pertini a mettere in moto una grande ondata di solidarietà, sia in donazioni di generi di conforto e cibo, sia per la quantità di persone e gruppi che arrivarono a portare soccorso. Con la nomina del commissario, Giuseppe Zamberletti, e il suo arrivo nelle zone terremotate (il 25 novembre) la situazione dei soccorsi migliorò. Zamberletti fu poi il primo ministro nominato per il coordinamento delle attività di Protezione Civile e contribuì all’approvazione della legge di Protezione Civile, la 225 del 1992. Con il passare dei mesi si susseguirono diversi decreti legge che riguardavano l’individuazione delle fasce di danno. La prima ripartizione del 31 dicembre 1980 individuava 339 comuni, ma dopo l’approvazione della legge 219, i comuni terremotati divennero 687. Anche in Molise, con il passaggio delle funzioni commissariali al presidente della Regione, nel 2003 furono considerati terremotati tutti i comuni della Regione. Le cose sono andate diversamente in Umbria e nelle Marche (76 comuni); anche in Abruzzo solo 57 comuni sono stati dichiarati danneggiati. Uno dei nodi centrali della comparazione è quello economico. Infatti si è indagato su quanto i commissariati e i governi hanno speso nei primi 12 mesi per la gestione dell’emergenza. Per avere un dato procapite, il totale della spesa è stato diviso per il numero dei senzatetto. Il risultato, riportato agli indici del 2009, ha decretato che il costo più alto si è verificato in Molise (27.027 euro per senzatetto in un anno), seguito da Abruzzo (23.718 euro), Campania-Basilicata (7.889 euro) e Umbria-Marche (4.810 euro). Questi dati si possono spiegare sia per l’esiguo numero di senzatetto in Molise, sia per le scelte effettuate per risolvere il problema in Abruzzo, con il Piano Case. Anche i destini delle varie ricostruzioni sono stati profondamente diversi. L’opinione pubblica ritiene la ricostruzione irpina l’esempio negativo in assoluto per il costo complessivo (circa 32 miliardi di euro di oggi); in verità, i giudizi dovrebbero indagare in maniera approfondita sulle responsabilità e sulle storture, scoprendo che gran parte dei finanziamenti è stata dilapidata in progetti di sviluppo (tendenzialmente localizzati nelle zone pianeggianti estranee al sisma) che avevano poco a che fare con la ricostruzione materiale dei piccoli paesi. In Umbria, invece, ha funzionato meglio la divisione di competenze tra i vari attori istituzionali, anche grazie a una legislazione molto semplice. Il Molise e l’Abruzzo sono casi ancora recenti per un giudizio complessivo. Di certo in questi trent’anni il nostro paese si è dotato di grandi capacità d’intervento, ma sarebbe anche auspicabile una maggiore attenzione e maggiori risorse destinate alla prevenzione, sia in termini di salvaguardia dei territori e dei manufatti, sia in termini culturali.

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Last modified: 10 Luglio 2015