Visit Sponsor

Alessandro ColomboWritten by: Progetti

Alessandro Colombo rivisita la Fiera di Milano, di Studio Fuksas

Dal piazzale che collega in quota i padiglioni 12 e 16 con le rampe di accesso guardo l’arco alpino di fronte a me: nelle giornate in cui la coltre di nubi minacciose si spacca all’approssimarsi dei rilievi e rivela i monti nella luce del sole, lo spettacolo è affascinante e ti sembra di essere su una terrazza costruita apposta. È questo, a mio parere, il luogo più seducente del complesso fieristico: in verità è solo una struttura funzionale dove passano merci e uomini, addetti ai lavori ma non il pubblico. Da questo punto ripenso a quel marzo del 2005 in cui, non senza molta fretta, veniva inaugurata la nuova Fiera, o meglio una parte di essa. 
Era come una sorta di accampamento, un paio di padiglioni allestiti arroccati sul margine orientale e dietro i 520.000 mq di quello che sarebbe diventato il più grande polo espositivo europeo. Una cattedrale non nel deserto, ma stretta fra due autostrade e la ferrovia; vicina ma irraggiungibile. In seguito le infrastrutture sono arrivate in un tempo molto superiore a quello che è stato necessario per costruire il complesso; ma sono arrivate e questo, almeno nel nostro paese, non è poco. Il sospetto che ci prese all’epoca riguardo all’impianto, uno sbilanciamento dell’assetto funzionale a Est in contraddizione con il disegno urbano della Fiera, nettamente impostato Est-Ovest con un baricentro a Sud, è una chiara realtà oggi. Se guardiamo una pianta di Milano è significativo vedere come la nuova Fiera ricalchi per giacitura e dimensioni il Cimitero maggiore; semplicemente, la Fiera è spostata lungo il prolungamento dell’asse del Sempione, la via storica di connessione con la Francia celebrata nel periodo napoleonico dall’unico sistema di disegno urbano a grande scala che Milano abbia avuto: il doppio emiciclo che circonda il Castello e l’antica Piazza d’armi e che si apre con l’Arco della Pace all’ampia arteria che porta alle Alpi. Diversa è però l’impostazione fra le due macrostrutture: il Cimitero ha un ingresso rivolto alla città. La Fiera, invece, vuole essere un asse fra città e territorio dove, però, l’estremo significativo è uno solo, quello Est, ma allo stesso tempo il modello si contraddice ponendo il suo cuore nel baricentro e avendo il suo ingresso monumentale a Sud, da dove non entra nessuno, purtroppo. L’immagine ricorrente è, infatti, quella del popolo dei «pellegrini» che sbarca dalla metropolitana o dai treni a Est e che s’incammina lungo il chilometro e mezzo del percorso, posto a sette metri dal suolo, per raggiungere l’agognato padiglione. Nel cammino, sopra la testa dei nostri si svolge il nastro della grande vela, cifra autoriale del disegno architettonico di Massimiliano e Doriana Fuksas che miracolosi ingegneri di una sapiente azienda hanno reso possibile. Nessuno si ferma sotto la vela: la luce è troppa anche in inverno, non vi è possibilità alcuna di sedersi, se si tralasciano delle panchine metalliche in numero trascurabile e semi inaccessibili sulle terrazze laterali, ma soprattutto non vi è ragione alcuna di fermarsi in un luogo non confortevole. Tutto avviene, in realtà, sotto di noi. Ce ne accorgiamo guadagnando il piano terra, dove il percorso in quota funge da tetto e da riparo ricordandoci l’importanza di una delle ragioni prime dell’architettura, e dove ritroviamo la vita: qui si affacciano gli ingressi dei padiglioni, i caffè e i ristoranti; qualcuno ci vende un gelato e può essere piacevole prendere il caffè seduti a un tavolino. Da alcune vetrate inserite nei fronti di acciaio scintillante delle scatole dei padiglioni scorgiamo gli allestimenti interni e questa immagine, legata all’invenzione degli strani volumi su palafitte, sale ed edifici sospesi all’interno del disegno della vela, è una delle più felici che ci portiamo a casa. I padiglioni si rivelano funzionali nelle dimensioni, ma ancora una volta è la giacitura che è contraddittoria. Nelle strutture a due piani i collegamenti verticali sono sul fondo, scomodissimi e invisibili, tanto da imporre in tempi recenti la costruzione di nuovi ascensori più vicini all’ingresso. I blocchi dei padiglioni, soprattutto durante le grandi fiere, necessitano di un collegamento diretto che non obblighi il pubblico a dover ritornare sempre all’asse centrale, ma fra i blocchi sono posti i parcheggi e sui fianchi delle strutture i servizi igienici, così che i collegamenti allestiti alla bisogna risultano sempre sgradevoli. Gli unici elementi inaspettati sono i «lucernari-vulcano», protuberanze in copertura che, se rendono riconoscibile da lontano gli scatoloni edilizi, portano però fastidiosa luce naturale sopra gli stand. Se saliamo al piano superiore dei padiglioni biplanari e ci spingiamo in uno degli angoli estremi, scopriamo che la vela è molto più bella vista dall’alto, ma anche in questo caso i punti per vederla sono di fortuna: grandi vetrate terribilmente non funzionali poste in quella posizione più per esigenze compositive delle facciate che per convinzione. La porta Sud, il luogo contraddistinto dal «grande vulcano» a suo tempo battezzato «montagna Fuksas», come già detto non è luogo d’ingresso ma di rappresentazione. Set per non pochi spot pubblicitari, rimane nelle memorie grazie alla sera dell’inaugurazione del primo Salone del Mobile nella nuova sede, quando fu il palcoscenico di uno straordinario spettacolo della Fura dels Baus. Le manifestazioni si susseguono, le infrastrutture sono oramai completate, il complesso regge bene gli assalti del pubblico grazie anche a una buona manutenzione: Milano ha una Fiera di livello internazionale pronta per un futuro che si spera migliore del passato recente e del presente. Rimane il dubbio se questa grande struttura non andasse un poco più pensata come un posto per fare fiere e un poco meno come un segno sul territorio, dove una grande vela forse non è bastata a nobilitare degli anonimi padiglioni.

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 130 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 13 Luglio 2015