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Verso il rinnovo del Cnappc: 10 raccomandazioni!

A dicembre si eleggerà il Consiglio nazionale degli architetti. Ma, a differenza di quanto è avvenuto nelle consultazioni precedenti, da dieci anni a questa parte, c’è attesa, fermento, spirito di competizione tra gli Ordini, il che rivela un interesse prima poco presente e una voglia di cambiamento.
Alla base, la constatazione che si sta probabilmente chiudendo un ciclo, nel lungo periodo di permanenza in Consiglio dei suoi attuali membri, molti dei quali eletti sulla base di un programma di forte rinnovamento nel 1997 e da allora rimasti in carica, con avvicendamenti decisi per «cooptazione» sotto la regia di colui che lo ha guidato con autorevolezza fino allo scorso anno, Raffaele Sirica.
Proprio la sua prematura e dolorosa scomparsa ha aperto, anticipatamente, una lunga fase preelettorale che sembra preludere a un altro rinnovamento, nei programmi e nei componenti. Conseguenza naturale dell’allentamento della tensione innovativa che accompagna inizialmente gli eletti e dell’attenuazione del consenso degli elettori dopo una lunga permanenza in carica dell’esecutivo, a dispetto della qualità dei risultati. Ma anche del mutare dei tempi, del sopravvenire di nuove esigenze, particolarmente avvertite da Consigli provinciali molto rinnovati, ringiovaniti e portatori di interessi piuttosto differenti, dovuti soprattutto alla progressiva, lacerante emarginazione dei giovani dal mercato professionale.
Eppure risultati ci sono stati, soprattutto nel dinamismo delle relazioni avviate e mantenute dal Cnappc con il sistema politico, ma non si sono tradotti in atti concreti veramente utili a trarre gli architetti dalla morsa di una crisi che necessiterebbe, ora, di una mai troppo attesa riforma dell’ordinamento professionale, con tutto ciò che ne consegue: revisione profonda di ruolo e compiti degli Ordini, rivalutazione del lavoro intellettuale, definizione precisa delle competenze tra le varie figure dei progettisti, rideterminazione (pur con criteri diversi) dei compensi minimi, modifica dei percorsi formativi dell’architetto, all’università e dopo, accreditamento formativo per l’aggiornamento professionale…
Certo, non si può pretendere che il Consiglio nazionale degli architetti possa condurre una battaglia politica e vincerla a dispetto di un Parlamento sempre restio a legiferare su questi temi, che coinvolgono tutte le professioni e non solo gli architetti, né che possa, da solo, far mutare opinione a sindacati e associazioni imprenditoriali – assurdamente uniti nel ritenerli portatori di interessi corporativi contrari al mercato e quindi nello screditarli – sul ruolo e sul valore sociale degli iscritti, che non è quello di fornitori di servizi ma di produttori di ingegno e di conoscenza.
Ma ciò che preliminarmente sembra cogliersi, nelle consultazioni nazionali e regionali che si sono da qualche mese avviate, dopo un lungo periodo di mancanza di comunicazione e di contatti con gli Ordini, dovuto anche a una certa lentezza nel nominare il sostituto di Sirica e nel riavviare l’attività del Consiglio nazionale con la nuova guida, è l’esigenza di un cambiamento di metodo, nei rapporti con la sua base elettorale (i Consigli provinciali) e con gli stessi iscritti, che si avviano presto a diventare 150.000.
Insomma, anche se il Cnappc si è reso più solerte negli ultimi sei mesi – e così dovrà continuare a operare – sembra lecito rivolgere qualche raccomandazione a chi si prepara a farne parte, sulla scorta delle disfunzioni, da molti avvertite e segnalate, che hanno poco a poco impedito di creare durature unità di intenti tra gli Ordini e la loro rappresentanza nazionale.
Ecco dunque un possibile sommesso suggerimento, sotto forma di «decalogo»:
1) Il Cnappc deve evitare di assumere posizioni di autoisolamento, come se fosse un organo sovraordinato irraggiungibile, e porsi invece in un rapporto continuo con gli Ordini per raccogliere «dal basso» le loro esigenze.
2) Gli incontri degli Ordini (Assemblee, Conferenze) devono essere non saltuarie ma un costante momento di confronto reciproco tra il Cnappc e gli Ordini stessi, senza essere occasione di «indottrinamento» finale, generico e ripetitivo, da parte dell’esecutivo.
3) Il Presidente del Cnappc deve intendersi come «primus inter pares», non il decisore esclusivo ed assoluto delle iniziative o delle posizioni da prendere.
4) Tra i membri del Cnappc la separazione dei compiti deve essere solo funzionale, mentre conoscenze e decisioni devono essere collegiali.
5) Nessun consigliere del Cnappc, neppure il Presidente, deve avere uno spazio riservato di azione, mentre deve tenere costantemente informati gli altri (e soprattutto gli Ordini) di ciò che fa.
6) Il Cnappc deve porsi come organo di rappresentanza i cui membri si spostano spesso, in Italia, per consultare sul posto gli Ordini locali, ascoltarli e capirne le esigenze e le difficoltà.
7) Le Commissioni del Cnappc devono essere finalizzate e a tempo determinato, non fini a se stesse o volte ad acquisire la benevolenza degli Ordini che ne fanno parte.
8) I lavori delle Commissioni e dei gruppi di lavoro del Cnappc devono sempre essere resi pubblici, anche per consentire agli Ordini di utilizzarne i risultati e di valutarne la qualità.
9) I consulenti del Cnappc devono limitarsi ai propri compiti e non sostituirsi ai consiglieri nel prendere o illustrare all’assemblea le decisioni, che sono politiche.
10) I consiglieri del Cnappc non devono pensare, già il giorno successivo al loro insediamento, a come riusciranno a farsi rieleggere, cinque anni dopo…

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Last modified: 14 Luglio 2015